di Mathieu Porcellana 

Z. è arrivato nel 2016 dalla Costa d’Avorio. Z. è arrivato come tanti su un barcone, per poi farsi sballottolare da un’accoglienza all’altra.

Non appena si è abituato al clima del sud, eccolo salire su un furgone diretto a… Torino? E dove si trova Torino? Chi lo sa. Non credo che Z. si sia fatto queste domande. Sapeva che non avrebbe avuto risposte nell’immediato. Avrà annuito tra sé e sé e avrà aspettato di arrivare a Torino. Giunto in città, ecco che memorizza subito i posti principali, quelli importanti tipo Porta Palazzo o la stazione.

Inizia ad andare a scuola, ad imparare l’italiano. Comincia ad interessarsi alla sua situazione, ma  quando capisce più o meno come funzionano le leggi italiane in materia di immigrazione, ecco arrivare il decreto di quel signore: Minniti o Minnitì, pronunciato alla francese, ma non preoccupiamoci. Ah no…Ci si deve preoccupare eccome. Ma intanto Z. è arrivato in Italia, è nel suo CAS, che non fa così schifo, se non si considera la mancanza di  riscaldamento nonostante sia dicembre, ma almeno non è la Libia.

Siamo nel 2018, Z. ha preso la terza media, sta facendo un nuovo corso professionale. Parla fluentemente italiano, sempre con l’accento francofono che però pare piacere, soprattutto alle ragazze. Ha una fidanzata italiana, ha anche un lavoro in fabbrica con un contratto di 3 anni. Vorrebbe addirittura prendere la patente, così il padre della sua ragazza gli presterebbe la macchina. Z. ha anche iniziato a raccapezzarsi di più con i giornali italiani leggendoli con molto interesse, sperando di trovar qualche notizia interessante o che possa riguardare la sua situazione. Quando legge di governo giallo verde, di avvocati degli italiani, non serve guardare la faccia sconsolata dei suoi operatori, che si guardano chiedendosi quanto ancora continueranno a fare questo lavoro tra una imprecazione e l’altra, per capire che la situazione si sta mettendo anche peggio di quanto immaginasse.

La situazione è cambiata. Tanto cambiata. Si nota dalle piccole cose, interne e esterne al CAS. L’operatore per esempio non dà più i biglietti del pullman. Si scusa, ma non ci sono abbastanza soldi, in più bisogna pensare alla spesa per la settimana, quindi dei biglietti del pullman ci frega poco, poi chissà dove dovete andare…

Quando esce dal CAS per recarsi dalla fidanzata, per andare a lavoro o semplicemente per farsi un giro, si rende conto che qualcosa è cambiato. L’aria è più pesante. La gente lo guarda strano, come se fosse arrivato ieri e stesse cercando di giudicarlo sulla base dei luoghi comuni sui migranti, tanto cari ai politici in quel periodo.

Ma lui è Z. È ben voluto da tutti. Anche se la vecchia, che passa sempre davanti al cas nello stesso momento in cui lui esce per andare al lavoro, non lo saluta più. Suo marito ha iniziato ad andare in giro con lei, perché sai con tutti questi negri…

Addirittura dei ragazzi lo insultano mentre è con la sua fidanzata. “Negro” “Scimmia” e altre parole che lui già conosce da tempo. Provano ad aggredirlo, ma lui riesce a difendersi. Non sono le botte a farlo soffrire, ma la consapevolezza di essere di nuovo minoranza. Come in Libia, dove lo apostrofavano con le stesse parole. “Ma in Libia ci sparavano”, gli dice A. per tranquillizzarlo.

Sarà, ma passa il tempo e Luca Traini spara alla gente. Agli africani. Come in Libia, quando il padrone si rendeva conto che era più economico disfarsi di alcuni schiavi.

Il calvario continua. La commissione ride in faccia a Z. Non hanno elementi per verificare la sua storia né per capire se si è integrato, ecco cosa gli dicono. Potrà ancora salvarsi facendo ricorso. Forse.

I suoi operatori se ne vanno. Purtroppo i soldi che fornisce il Ministero non bastano piú per tenere tutti questi lavoratori, quindi alcuni vengono licenziati. Z. è triste. Va via l’operatore simpatico, quello che gli passava le sigarette. Va via quello serio, che lo ha aiutato a prendere la terza media.

Siamo nel 2021. Ormai sono passati 5 anni da quando Z. è arrivato in Italia. Sta ancora con la sua fidanzata. Ha preso la patente. Il padre di lei gli lascia la macchina per farsi i loro giri. Il mondo è cambiato. Ora la gente pensa al virus, alle mascherine, agli spritz alle 3 del pomeriggio e a quanto sia figo vedersi attraverso un cellulare.

Il giudice ha finalmente alzato lo sguardo e ha guardato Z. negli occhi. Si è pronunciato.

Z. mi ha chiamato, in quanto io fui uno dei suoi primi operatori, per dirmi la notizia. Non riesco a crederci. Ho bisogno di richiederglielo. Ma lui conferma. Due anni. Due anni di permesso. Che fanno ridere e piangere allo stesso tempo. Ho la voce rotta e il viso rigato dalle lacrime.

E nonostante la Libia, i CAS fatiscenti, Minniti o Minnitì, i decreti sicurezza e il covid, Z. ha vinto.