di Alba Mercolella 

Se due anni fa ti avessero detto che avresti trascorso mesi dentro casa a guardare le ambulanze passare dalla finestra e la gente cantare dai balconi, ci avresti creduto? Se avessi saputo in anticipo cosa sarebbe successo, come avresti reagito?

 

Per queste ragioni e per evitare reazioni di follia collettiva, è importante comunicare bene. Eppure, si dice spesso che la società di oggi è fra le più sicure in cui l’essere umano abbia mai vissuto. Certo, questo non vale in tutto il mondo, ma in alcune parti del mondo sì. Nonostante ciò, anche da queste parti ci si sente sempre più insicuri.

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Fonte: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

 

In questo scenario di insicurezza totale, l’emergenza scatena un effetto domino: l’emergenza sanitaria ha provocato quella psicologica, a cui sono seguite l’emergenza economica, sociale e politica.

Il linguaggio militare ha dominato il discorso pubblico. Gli ospedali sono diventati trincee, ed ogni sera alle 18:00 la conta dei morti. Ma non deve stupire: è da quando si è affermata la teoria dei germi di Pasteur, nel ‘600, che vengono utilizzate metafore come quella dell’invasione.

 

Il “nemico invisibile” che ci ha “invasi” in questi ultimi due anni ha portato “tutti” (quelli che potevano) a chiudersi in casa. E poi sono state chiuse le frontiere e i porti. La pandemia ha esacerbato il razzismo e la stigmatizzazione verso i migranti, “portatori” del virus, portandoli ad un isolamento non solo fisico, ma anche sociale e psicologico.

 

Il ruolo delle istituzioni nella comunicazione della pandemia

In situazioni eccezionali come queste, le istituzioni hanno un ruolo fondamentale: comunicare rischi e contromisure, con particolare attenzione verso coloro che hanno accesso ridotto all’informazione mainstream. Insomma, a quelli che non avevano una TV per seguire i discorsi di Conte o le competenze linguistiche per comprenderlo.

Giuseppe Conte Covid

Ti sblocco un ricordo: #iorestoacasa

 

Questo problema è stato colto anche dalle organizzazioni internazionali, e non da ieri. Esiste una guida del WHO sulle buone pratiche della comunicazione del rischio durante le emergenze sanitarie, prodotta ben prima dell’arrivo del Covid-19. A pandemia già in corso, precisamente alla fine del 2020, l’OCSE ha prodotto un documento in cui sono state segnalate le buone pratiche adottate dai Paesi membri.

 

Nonostante ciò, la Direzione Generale per l’Immigrazione e l’Istituto Superiore di Sanità hanno rimandato ad informazioni prodotte da associazioni che si occupano di migranti.

 

Le restrizioni e le interruzioni dei servizi pubblici, soprattutto durante la prima fase della pandemia, hanno limitato le opportunità di comunicazione verso i migranti, soprattutto riguardo informazioni specifiche circa diritti ed obblighi, nello specifico del contesto del settore dell’accoglienza. Tuttavia, ciò era fondamentale per impedire la diffusione del virus.

 

Gestire informazioni in modo tempestivo e renderle accessibili ai più non è di certo un’impresa semplice. Occorre utilizzare lingue, linguaggi e formati diversi per andare incontro a tutte le componenti della popolazione. Non solo ai migranti presenti sul territorio, ma anche agli anziani, alle persone con disabilità, ai bambini.

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Fermati e chiediti: questa infografica potrebbe essere compresa da tutte le categorie appena nominate?

 

Azioni dal basso

Come accennato sopra, alcune istituzioni hanno utilizzato informazioni prodotte da associazioni che si occupano di migranti.

Nello specifico, l’Istituto Superiore di Sanità e la Direzione Generale dell’Immigrazione, oltre che ad enti comunali e regionali, hanno rinviato ad una pagina dell’associazione Il Grande Colibrì in cui sono presenti informazioni utili per migranti in più 50 lingue.

Si tratta di un lavoro iniziato nel febbraio 2020, condotto insieme ad altre organizzazioni, in cui vengono continuamente aggiornati ed implementati materiali informativi sul Covid-19.

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La pagina dedicata alle informazioni sul Covid de Il Grande Colibrì

 

Un altro esempio è il lavoro di raccolta di informazioni rivolte ai migranti portato avanti dall’ASGI. Fra fonti istituzionali, traduzioni, link ad informazioni da pagine esterne, video, opuscoli, numeri utili e iniziative di supporto.

Va notato come tutto questo materiale sia stato realizzato quasi solamente da Associazioni, con poche eccezioni.

Lo ripetiamo: fin troppo spesso il mondo dell’associazionismo e del Terzo settore si sostituisce allo Stato nell’erogazione di servizi di base. Anche stavolta, la “buona volontà” ha colmato i vuoti lasciati dalle istituzioni.

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La pagina web che raccoglie informazioni sul Covid di ASGI

  

Ma “tutti” chi? Un focus sulla popolazione migrante

La pandemia ha reso la vita di “tutti” più precaria e difficile. Ma per le categorie già fragili ed emarginate l’impatto è stato maggiore, fra cui la popolazione migrante.

 

Gli stranieri in povertà assoluta, nel 2020, erano 1,5 milioni dei 5 milioni complessivi che risiedono in Italia. L’incidenza della povertà assoluta su questa parte della popolazione è stata di circa quattro volte maggiore. Il modello lavorativo che spinge ai margini del mercato del lavoro la popolazione migrante si è cronicizzato: rispetto ai cittadini italiani, questi lavoratori sono più sovraistruiti, sottoccupati e sottopagati.

 

Nulla di nuovo. Come per lo stato dell’arte dell’istruzione pubblica, del precariato e dell’occupazione femminile, la pandemia non ha fatto altro che rendere ancora più visibili gli aspetti già problematici del Paese.

 

Guardando al continente europeo, lo scorso giugno è stato pubblicato il report “Reducing COVID 19 transmission and strengthening vaccine uptake among migrant populations in the EU/EEA”, in cui vengono presentati i dati sull’impatto del virus tra le popolazioni migranti in Unione Europea, nello Spazio economico europeo e nel Regno Unito.

Secondo l’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), le popolazioni migranti residenti in queste aree sono state più esposte al contagio. Ma anche le restrizioni sui viaggi hanno avuto un particolare impatto sui ricongiungimenti familiari e nelle procedure per le richieste di asilo.

 

L’ultima sfida posta dalla pandemia è l’equità di accesso ai vaccini. Garantire l’accesso inclusivo ai vaccini anti Covid-19, a prescindere dallo status giuridico di un individuo, è di grande importanza.

 

Per raggiungere l’obiettivo, è fondamentale che i messaggi di sanità pubblica siano redatti anche rendendo partecipi le comunità migranti, in modo che siano culturalmente e linguisticamente adeguati a coinvolgere tutti, ma proprio tutti, ed imboccare la strada che conduce verso l’uscita dalla pandemia.