di Alba Mercolella 

Dalla Polonia, quest’anno, siamo andati e tornati tre volte. Un percorso che ci ha portato dal confine polacco-ucraino a quello polacco-bielorusso, nel nord della Polonia. Questa volta, abbiamo visto il muro nuovo di zecca che divide proprio la Polonia e la Bielorussia.

Il Pulmino Verde, come molte realtà simili, ha dovuto per due anni rinunciare alle attività all’estero. Quest’anno abbiamo voluto recuperare con ben tre viaggi. Smossi dallo scoppio della guerra in Ucraina, abbiamo organizzato un primo viaggio, dal 17 al 20 marzo. In questa occasione ci siamo concentrati unicamente sulla frontiera polacco-ucraina, ma avevamo già compreso che sarebbe giunto presto il momento di tornare nel Paese, ma con lo sguardo rivolto un po’ più a nord.

La frontiera tra la Polonia e la Bielorussia vede ripetuti pushback tra i due Paesi da oltre un anno. Nella zona, che comprende la foresta di Białowieża, è stata istituita la cosiddetta zona rossa, in cui siamo stati durante il viaggio svoltosi dal 16 al 19 giugno. Proprio qui è stato eretto il muro che ora divide i due confini, e che abbiamo potuto vedere meno di una settimana fa.

 

Un muro che trapassa una foresta primordiale, patrimonio dell’UNESCO, non può che essere particolare. Infatti, per cercare di consentire la migrazione degli animali che la abitano, il muro è dotato di porte che vengono aperte dalla parte polacca.

Sempre attraverso queste porte, le persone in movimento continuano ad essere spinte da una parte all’altra del muro. Dal momento che il muro è stato costruito dalla Polonia, ne ha piena gestione. Ciò vuol dire che i militari bielorussi spingono le persone verso il muro: come devono attraversarlo o scavalcarlo, è un problema loro. Con estrema amarezza, si può dire che il gioco dell’oca si è fatto ancora più difficile.

Svelo un piccolo retroscena personale: chi sta scrivendo in questo momento ha partecipato al secondo viaggio in Polonia. Dopo esperienze di questo tipo, capita di non vedere l’ora di parlarne con qualcuno che può capirne il significato. Per questo, non appena tornata a casa la notte del 19 giugno, ho subito telefonato Mathieu per iniziare a parlarne. Lui ha partecipato a questo terzo viaggio, e la scorsa domenica è toccato a me ascoltare e accogliere l’inizio del racconto, per poi continuare la sera seguente.

Seduti al tavolo della cucina, mi ha raccontato queste tre giornate nel nord della Polonia.

Dopo averlo salutato giovedì pomeriggio, ha raggiunto gli altri due volontari per partire verso l’aeroporto di Bergamo. Mezza giornata di viaggio per raggiungere Varsavia in piena notte e ripartire, il mattino seguente, verso Białystok.

Grazie alle donazioni ricevute, al mattino sono stati acquistati maglioni, magliette, pantaloni da trekking, biancheria da donna, calze e maglie termiche. Il tutto è stato poi consegnato al magazzino di Hajnówka.

Tutti beni sempre più indispensabili, come indicato dai volontari e dagli attivisti della zona. Per aiutare le persone a sopravvivere su quel confine, proprio come accade sulla vicinissima frontiera italo-francese durante i periodi freddi, non si può prescindere dalle donazioni.

Vale la pena ricordarlo: la Polonia sta attraversando un periodo molto duro tra la guerra e l’aumento dell’inflazione. Inevitabilmente, ciò manda in crisi la catena degli aiuti in un contesto già di per sé ostile a quegli attivisti e volontari solidali con le persone in movimento che si trovano su quel confine.

magazzino di Hajnówka
Dopo la visita al magazzino, ci siamo recati al muro. A seguito della rimozione del divieto di permanenza nella zona lungo il confine con la Bielorussia, è possibile avvicinarsi fino a 200 metri di distanza. Da qui si possono vedere i militari che pattugliano la zona, ma il clima di tensione si è allentato da quando è terminata la delimitazione di zona rossa. Anzi, in estate il muro ha attirato turisti e curiosi.

 

Una visione del genere non lascia comunque indifferenti. C’è un senso di chiusura davanti ad un muro che, in fondo, non è nemmeno imponente ad un primo sguardo. L’oppressione che si percepisce porta a voler cercare di capire quali punti deboli possono esserci, cosa serve per fermare questa Europa che viola sé stessa e diventa fortezza e spersonalizza le persone in movimento, creando doppi standard di accoglienza che, proprio in Polonia, sono così lampanti.

 

In questi luoghi, ci sono realtà che resistono ogni giorno e siamo onorati di aver potuto conoscere queste esperienze attraverso le loro parole. Per questo è doveroso dedicare queste righe per ringraziare l’Associazione Egala e Fundacja Bezkres non solo per averci dato un quadro della situazione, ma soprattutto per essersi fidati di noi.

 

Proprio durante la giornata di sabato, Mathieu e i suoi compagni di viaggio Roberto e Vittorio hanno avuto l’occasione di incontrare diversi attivisti e attiviste che portano avanti operazioni di soccorso nelle foreste tra Polonia e Bielorussia. Nella prima parte della giornata hanno incontrato una volontaria di Egala, già conosciuta a giugno, che ha raccontato l’evolversi della situazione nel corso dell’estate.

Ultimamente, i flussi sono di nuovo in aumento e sempre di più sono i casi che necessitano di particolari attenzioni mediche: l’ipotermia, in quei luoghi, è un’eventualità anche nei periodi estivi, che non sono certamente caldi.

 

Proprio domenica scorsa, le guardie di confine hanno trovato e preso in custodia nove persone provenienti dal Congo, tra cui due minori e un neonato di due mesi con vomito e febbre. Molto probabilmente, sono stati respinti verso la Bielorussia poco dopo.

Quasi sicuramente, queste persone si trovano ancora intrappolate in quel confine. Un confine dove è normale che le guardie di confine menino le mani, se non peggio, come nel caso di un ragazzo siriano che portava con sé la copia del Corano.

Filo spinato confine polacco-bielorusso

Al pomeriggio, i volontari de Il Pulmino Verde si sono avvicinati verso il confine per incontrare dei volontari che fanno parte anche di Fundacja Bezkres. Persone che ben sanno cosa voglia dire avere a che fare quotidianamente con le guardie di confine, soprattutto durante il periodo in cui la zona rossa era in vigore.

 

La questione della presenza delle guardie di confine è una strana, brutta storia. Coloro che pattugliano la frontiera non sono identificabili: appuntata alla divisa hanno solo la bandiera polacca, non i gradi né tantomeno un numero identificativo. Il mistero si infittisce quando, nella conversazione, emerge il fatto che molto probabilmente fra chi pattuglia il confine non ci sono solo di militari ma anche di persone al soldo di milizie private. Ciò che però accomuna tutte le guardie, è che tutti portano con sé un AK-47.

 

Nell’ultimo giorno di viaggio sono stati presi contatti con chi assiste i migranti LGBT+ ucraini, un’altra dimostrazione del doppio standard di accoglienza.

 

Il Klub Plan B è un locale celebre della comunità LGBT+ di Varsavia. È stato tirato su da personalità come quella di Michal Borkiewicz, che non solo negli ultimi tempi ha fatto la spola tra Varsavia e Przemyśl, ma negli anni dell’esplosione della Rotta Balcanica ha aiutato chi cercava di passare dalla Turchia alla Bulgaria.

Visitarlo è stato rivelatore della difficile situazione che chi è “fuori dalla norma” (dai migranti alle persone LGBT+) vive ogni giorno, inasprita soprattutto con il governo di Duda. Resta forte non solo la retorica anti-migranti, ma anche quella contro le persone LGBT+. Anche all’interno del locale, parlare di certe tematiche è difficile.

Klub Plan B

L’ultimo giorno è stato anche quello delle riflessioni, dei momenti in cui si riesce a dare un nome alle emozioni provate durante tre giornate intense.

 

Qualche sera fa, io e Mathieu abbiamo condiviso tutto questo e trovato dei punti in comune delle nostre esperienze lungo il confine polacco-bielorusso.

Tutti coloro che abbiamo incontrato hanno espresso lo stesso senso di solitudine e di abbandono: sono soli nelle loro attività e non sanno con chi parlare di quello che fanno ed è sempre più difficile garantire la continuità degli aiuti.

La comune impressione è che l’unico modo per poter continuare è rendere questa attività una missione, da cui riesce a nascere una speranza incrollabile. Solo così si va avanti nonostante le difficoltà organizzative e le traversie operative.

 

Da queste esperienze, insieme alle persone con cui le abbiamo vissute, ci portiamo la speranza che abbiamo trovato in loro, e soprattutto la tenacia che sarà necessaria dal momento che si prospettano tempi non semplici per la solidarietà.