Traduzione di Adna Čamdžić 

 

L’autore,  Aleksandar Matković, è ricercatore associato presso l’Istituto di Scienze Economiche di Belgrado, membro della rete “China, Law, and Development” dell’Università di Oxford nel Regno Unito, e Fellow presso il Transnational Institute di Amsterdam, oltre a essere membro del Fronte Verde-Sinistra in Serbia.

Matković ha ricevuto minacce di morte dopo aver pubblicato un’analisi critica sui piani di estrazione di litio da parte della compagnia mineraria anglo-australiana Rio Tinto in Serbia. Le sue preoccupazioni riguardano l’impatto ecologico del progetto, che potrebbe danneggiare una regione agricola popolata e un importante serbatoio idrico sotterraneo. Le minacce sono arrivate attraverso il suo profilo Telegram e sono state accompagnate da intimidazioni nei confronti della sua famiglia. Matković ha anche segnalato alla polizia la situazione, ma non sono state intraprese azioni concrete. Pubblichiamo il suo articolo uscito per transnationalinstitute.org

 

Non tutte le informazioni su Rio Tinto sono di dominio pubblico. Tuttavia, possiamo già trarre alcune conclusioni su determinati aspetti del progetto in Serbia. Con questa lettera aperta, desidero sollevare dubbi sull’euforia che circonda i presunti benefici economici dell’estrazione di litio. Questo tema è cruciale poiché il governo enfatizza costantemente alcuni vantaggi economici associati a Rio Tinto, trascurando però i rischi, a volte anche più della stessa azienda. Questo fa sì che il dibattito pubblico non sia obiettivo.

È importante sottolinearlo perché, nonostante gli investimenti minerari in Serbia siano aumentati in modo significativo, non si è registrato un miglioramento sostanziale nel tenore di vita dei cittadini. Per questo motivo, è necessario osservare l’altra faccia della medaglia e considerare i danni che ci aspettano qualora decidessimo di diventare una colonia mineraria d’Europa.

In primo luogo, è poco noto che negli ultimi due anni gli investimenti esteri nel settore minerario in Serbia siano aumentati in modo vertiginoso, addirittura di sei volte. Secondo i dati della Banca Nazionale di Serbia, gli investimenti nel comparto minerario sono passati da 118,7 milioni di euro nel 2021 a 704,8 milioni di euro nel 2023. Se si considera una prospettiva di lungo termine, come quella che parte dal 2014 – anno in cui il settore riceveva appena 26 milioni di euro – l’incremento è ancora più impressionante: negli ultimi dieci anni, infatti, gli investimenti sono aumentati di ben 27 volte.

Se questa tendenza proseguirà, il settore minerario potrebbe superare i livelli d’investimento attuali nel settore delle costruzioni (853,4 milioni di euro nel 2023) e, potenzialmente, anche quelli nell’industria manifatturiera (1,152 miliardi di euro nel 2023), ossia i due comparti che attualmente attirano il maggior volume di capitali esteri.

Tutto ciò è avvenuto nonostante la presunta cancellazione del progetto “Jadar” di Rio Tinto – ed è qui che risiede il problema. Naturalmente, oltre a Rio Tinto, altre aziende minerarie come Zijin, Dundee e altre ancora stanno investendo in Serbia. Tuttavia, è già noto al pubblico che Rio Tinto ha continuato ad acquistare terreni a Gornja Nedeljice e Slatina per un valore di 1,2 milioni di euro, anche dopo il ritiro del piano urbanistico a Loznica. Inoltre, secondo i dati disponibili presso l’Agenzia dei Registri delle Imprese, risulta che “Rio Tinto Exploration Danube” ha investito quasi un milione di euro in attività di esplorazione mineraria in Serbia anche dopo la cancellazione del progetto “Jadar”, il che indica che la compagnia era attiva su più di un progetto.

Oggi, con Rio Tinto tornata protagonista nel dibattito pubblico, non vi è dubbio che parte dei fondi investiti provenga proprio da questa azienda, poiché le preparazioni per la ripresa del progetto erano evidentemente in corso già allora. Pertanto, alla luce di tutti questi dati, si può concludere che Rio Tinto non ha mai realmente lasciato la Serbia.

 

 

I limiti della crescita degli investimenti diretti esteri

In poche parole, siamo stati ingannati. Ma il fatto stesso di essere stati ingannati non è il problema maggiore. Esistono questioni ben più gravi che vorrei mettere in luce affinché i cittadini possano comprendere l’effettiva portata della situazione.

In primo luogo, il nostro attuale modello di attrazione degli investimenti esteri in Serbia è ormai esaurito da tempo. Nessuna azienda può cambiare questo stato di cose e nessun politico sarebbe disposto ad ammetterlo pubblicamente. Da anni sovvenzioniamo diverse imprese straniere, paghiamo i loro lavoratori con fondi del bilancio statale, concediamo loro terreni, ignoriamo le violazioni, mentre i nostri tribunali infliggono sanzioni simboliche per l’inquinamento dei fiumi, al di sotto dei limiti legali. Si stanno verificando situazioni che danneggiano tanto l’economia quanto la politica del paese. Gli investimenti esteri sono aumentati, ma il nostro PIL ristagna. Tra il 2009 e il 2018, la quota di investimenti diretti esteri sul PIL è stata in media del 5,84%, e dal 2012 è cresciuta fino all’8,12% nel 2018, la più alta della regione dopo il Montenegro. Eppure, la crescita del PIL è stata modesta: 0,8% nel 2015, 2,8% nel 2016, 2,0% nel 2017 e 3,0% nel 2018. Da allora, gli investimenti esteri non hanno avuto effetti di rilievo, e il deficit delle partite correnti è rimasto una costante dell’economia serba.

Ecco perché ci chiediamo se una singola azienda, sia essa Rio Tinto o qualsiasi altra, possa davvero portare cambiamenti significativi. Potranno mai 1.300 ingegneri, geologi e minatori risollevare da soli l’intera economia? Nessuna persona seria e realista potrebbe sostenerlo. Se questo punto non è chiaro, chiediamoci: il tenore di vita in Serbia è aumentato con l’aumento degli investimenti minerari? No. Esiste un legame diretto tra l’incremento degli investimenti nel settore minerario e il miglioramento del tenore di vita in Serbia, come Rio Tinto e Vučić ci assicurano? No.

È quindi del tutto fuorviante sostenere che Rio Tinto salverà l’economia serba. Se così fosse, sarebbe già successo, visto che gli investimenti nel settore minerario sono già aumentati e stanno già generando posti di lavoro. Ma questo cambiamento non è avvenuto. E, anche se fosse avvenuto, non sarebbe comunque auspicabile, perché se davvero permettessimo al settore minerario di trainare l’intera economia, non potremmo più aspettarci altre fonti di crescita: una prospettiva pericolosa. Secondo uno studio recente delle Nazioni Unite, infatti, i paesi dipendenti da un singolo settore finiscono per esserne assoggettati, diventando più vulnerabili agli shock, come le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, in questo caso del litio.

 

La situazione sul campo e l’euforia “verde” nei media

Qual è dunque il reale beneficio del progetto “Jadar”, al di là della retorica? Secondo uno studio di Rio Tinto, la Serbia “guadagnerà” circa 1,9 miliardi di euro in costi indiretti, pari a circa il 3% del PIL. Si prevede che circa 25 milioni di euro complessivi andranno al comune di Loznica, con circa 5 milioni di euro l’anno destinati al fondo di sviluppo locale, borse di studio per studenti e simili. In sostanza, gli effetti rimarranno concentrati localmente, il che è certamente positivo, ma non è nulla di rivoluzionario né porterà vantaggi significativi per tutta la Serbia, nonostante le dichiarazioni di Vučić e dei suoi sostenitori.

È importante ribadire questo aspetto, poiché queste cifre sono ben lontane da quelle citate nei media, come l’incredibile cifra di 62 miliardi di euro all’anno (quasi pari all’intero PIL della Serbia) riportata in seguito a una dichiarazione di Maroš Šefčovič, vicepresidente esecutivo della Commissione Europea per il Green Deal. Non è la prima falsità apparsa sui nostri media, e neanche i dati di Rio Tinto supportano tali affermazioni. Stando alle recenti dichiarazioni di Vučić secondo cui il PIL aumenterà del 16,5% con la vendita di veicoli elettrici, possiamo immaginare che non sarà nemmeno l’ultima.

Tuttavia, in tutto questo spettacolo, si è sorvolato su un dato fondamentale: gli investimenti nel settore minerario hanno una caratteristica ben precisa. Man mano che aumentano, cresce anche la quantità di rifiuti e i danni ambientali, insieme ai contenziosi legati al degrado ecologico. Questo è un punto da sottolineare, poiché abbiamo già dati significativi a riguardo.

Negli ultimi due o tre anni, con l’aumento degli investimenti minerari, i rifiuti derivanti dall’attività estrattiva sono cresciuti del 150%. Secondo l’ultimo Annuario Statistico della Serbia, nel 2022 la quantità di rifiuti generati è aumentata del 149,4% rispetto al 2021, arrivando a un totale di 174,7 milioni di tonnellate, di cui il 94,4% proveniente dalle attività minerarie. Di questo volume, il 18% è classificato come “pericoloso” e nessun altro settore, oltre a quello minerario, registra una percentuale così elevata di rifiuti pericolosi. Non sorprende, quindi, che anche la quantità di materiale estratto sia in crescita: da 107.949 mila tonnellate nel 2017 a 138.251 mila tonnellate nel 2022, con un aumento del 22% in cinque anni.

Allo stesso tempo, la produttività delle risorse – uno degli indicatori chiave della transizione verde, che misura il consumo di materiali in rapporto all’attività economica espressa in PIL – è diminuita del 10%, passando da 41 a 37,2 euro per chilogrammo di materiale tra il 2017 e il 2022. Questo è lo stesso periodo in cui, come già menzionato, gli investimenti minerari sono aumentati di sei volte e l’estrazione del materiale è cresciuta del 22%. Ciò significa che in questi anni abbiamo estratto più risorse di quanto fosse effettivamente necessario per la nostra attività economica.

Inoltre, ogni altro paese dell’ex Jugoslavia è più efficiente di noi nell’uso delle risorse domestiche, e i dati comparativi di EUROSTAT mostrano chiaramente che, da questo punto di vista, la Serbia è in realtà il fanalino di coda dei Balcani.

Nonostante l’aumento dell’estrazione di materie prime da parte di aziende straniere, la crescita dei rifiuti, la crescita degli investimenti minerari e il calo dell’efficienza interna nell’uso delle risorse, il tenore di vita in Serbia è in declino o stagnante. È importante ricordare che il tenore di vita non si misura solo in termini di salario (che ormai cresce in parallelo all’inflazione) o capacità di spesa, ma anche in termini di qualità dell’ambiente – le condizioni in cui viviamo e lavoriamo. A peggiorare queste condizioni contribuiscono il debole controllo sulle aziende straniere e la gestione discutibile dei tribunali commerciali che spesso consentono violazioni normative senza sanzioni adeguate. Tradotto in termini comuni, i dati ci confermano che stiamo davvero diventando una colonia mineraria alla periferia dell’Europa.

Autoritarismo e sviluppo del litio: una relazione d’interesse

Perché continuare su questa strada se è così dannosa? Le ragioni, in realtà, sono evidenti. Non occorre andare troppo a fondo per comprendere gli interessi che spingono Vučić a puntare sull’industria mineraria in Serbia. Il suo potere si basa da tempo su un delicato equilibrio tra potenze straniere, una strategia ereditata dal suo predecessore “democratico”, Tadić, sviluppata all’inizio degli anni 2000 (con i cosiddetti quattro pilastri della politica estera serba: UE, USA, Cina e Russia). Parte di questo bilanciamento ha comportato una crescita incontrollata degli investimenti esteri, con concessioni a compagnie straniere per garantirsi il loro interesse in Serbia, come nel caso di Rio Tinto. Nonostante le massicce proteste nazionali contro l’azienda, gli interessi di Rio Tinto sono ora appoggiati dal cancelliere tedesco Scholz e dal partito al potere SNS, che continua a vendere l’illusione di occupazione e stabilità. Un’illusione, che, come dimostrano i dati, diventa sempre più trasparente, poiché evidentemente non riesce a compensare i difetti della gestione di Vučić.

Questo aspetto di lungo termine è fondamentale anche per il litio. La narrazione di Vučić sui benefici economici del litio si inserisce in un tentativo più ampio di creare una catena di produzione di veicoli elettrici in Serbia. Tuttavia, questo processo dovrà continuare a basarsi sulla stessa logica di attrazione di investimenti esteri, i cui limiti sono già stati raggiunti. La conferma arriva dalla produzione pilota di veicoli elettrici avviata a Kragujevac il 22 luglio, con il sostegno di Vučić, che ha dichiarato che lo Stato ha fornito una sovvenzione di 48 milioni di euro a Stellantis. Ancora una volta, le sovvenzioni vengono erogate a compagnie i cui profitti defluiscono all’estero. Questa situazione potrebbe aggravarsi con la costruzione di una fabbrica di batterie da parte di InoBat, partner di Rio Tinto. In tal modo, il sogno di Vučić di completare una catena di produzione – dal litio alle batterie fino alle auto – in Serbia potrebbe effettivamente realizzarsi, ma ciò comporterà nuove sovvenzioni incontrollate e corruzione, come è già accaduto in precedenti casi sotto la sua gestione autoritaria. In questo contesto, la transizione verde si intreccia con l’autoritarismo, e non c’è cifra di investimento estero che possa scardinare la posizione coloniale in cui Vučić sta spingendo la Serbia. Di fatto, nessun investimento estero potrà mai compensare l’assenza di pianificazione e di stabilità interna, sviluppo nazionale e gestione statale affidabile – proprio perché si basa sulla loro mancanza. Gli investimenti esteri non possono sostituire lo Stato, per quanto alcuni politici vogliano farlo credere; al contrario, in questo caso, potrebbero minare lo Stato.

 

Tecnologie adatte ai regimi autoritari

Dal punto di vista di Rio Tinto, l’investimento nel litio potrebbe essere descritto con un vecchio detto serbo: “La nonna ha dato un dinaro per entrare al ballo; ora ne darebbe due per andarsene, ma non può più”. Nella letteratura professionale esiste il concetto di “momentum tecnologico” (concepito da Thomas Parke Hughes, ma adottato anche da altri), che descrive una situazione in cui un investitore ha investito tanto capitale in un progetto che, anche se il progetto diventa obsoleto, non può più abbandonarlo, finendo per trascinare la società e creando conseguenze sociali sempre più dannose.

A differenza di Rio Tinto, anche l’investitore americano Elon Musk si sta allontanando dalle batterie al litio, e tra i chimici sono già ampiamente riconosciute le batterie al sodio-ione o all’idrogeno come il futuro dell’industria. Lo storico economico Adam Tooze considera Rio Tinto un’eccezione nella transizione verde globale proprio perché si aggrappa al litio, nonostante le alternative. Probabilmente questo accade poiché l’azienda noxn può tirarsi indietro a causa dell’ingente capitale investito dai suoi azionisti in Serbia. Di conseguenza, questa “inerzia” della dipendenza dal litio serbo cresce, e ora l’azienda si trova nella posizione di dover investire sempre di più per salvare il progetto miliardario “Jadar”. Questo “momentum” trascina Vučić e la nostra società verso la condizione di colonia mineraria d’Europa.

Infine, questo status comporta delle conseguenze significative per la nostra società. Oltre agli impatti fisici, il rischio maggiore sarebbe quello legale, poiché il modo in cui Rio Tinto è stato reintrodotto – con il sostegno di Scholz e dell’Europa in corsa per il litio, necessario non solo per veicoli elettrici ma anche per scopi militari e potenzialmente per reattori a fusione – potrebbe aprire nuove porte al neocolonialismo. Questo scenario potrebbe ulteriormente consolidare una mutazione del nostro sistema legale verso l’applicazione selettiva delle leggi e delle espropriazioni a favore delle aziende, a scapito dell’interesse pubblico, distinguendoci ulteriormente dall’Unione Europea in termini legali. Il rischio reale è evidente anche dal fatto che il legame tra regimi autoritari e litio non è nuovo in Serbia; legami simili sono emersi in Portogallo, tra il premier António Costa e la società “Savannah Resources”, e in Cile tra Julio Ponce Lerou, nipote di Pinochet, e la compagnia di litio “SQM”. In ogni contesto, questa “inerzia” degli investitori esteri sul litio li costringe a sviluppare interessi in collaborazione con le élite locali, che usano il proprio potere per modificare sistemi legali e pratiche a favore delle compagnie minerarie, soprattutto nei Paesi alla periferia del mondo. Questa dinamica ha trovato compimento nella visita di Scholz, e Vučić sta giocando il proprio ruolo nella partita mineraria in modo impeccabile.

Perciò, è cruciale prendere coscienza della posizione in cui ci troviamo e del percorso che abbiamo già intrapreso. Secondo i dati presentati, il processo di trasformazione della Serbia in una colonia mineraria è già avviato. Quanto si spingerà avanti dipenderà dai cittadini della Repubblica di Serbia – in altre parole, da tutti noi.