di Fernanda Torre
Le immagini che ci arrivano dalle carceri libiche suscitano perlomeno sgomento ed estrema indignazione.
Le condizioni delle persone in detenzione non rappresentano purtroppo una novità, sono immagini che spesso sono state ascoltate e raccolte in luoghi come la Chiesa di Sant’Antonio o il Bar Hobbit di Ventimiglia, o al Rifugio di Oulx.
Sono gli sguardi di chi arriva con un bagaglio di vita duro, difficile da raccontare e da superare.
Le condizioni delle carceri libiche non si distanziano dalle mura della prigione di Evin, luogo che tiene prigioniere migliaia di persone, sottoposte a torture e trattamenti disumani, ed è proprio il dolore per l’abisso di Evin che deve spingerci a mobilitarci attivamente.
I rapporti che documentano le condizioni delle carceri libiche non mancano, tutti evidenziano condizioni inumane, teatro di torture, abusi e violazioni dei diritti umani.
Le persone migranti, spesso provenienti da paesi dell’Africa subsahariana, sono detenute in condizioni deplorevoli, senza accesso a cure mediche adeguate, cibo sufficiente o acqua potabile.
Sono innumerevoli le organizzazioni internazionali che hanno denunciato queste violenze, chiedendo un intervento immediato da parte della comunità internazionale. Tuttavia, la situazione rimane incancrenita, con migliaia di persone intrappolate in un limbo di sofferenza e disperazione.
Uno dei principali problemi è la mancanza di trasparenza e di controllo nei centri di detenzione, che permette agli abusi di continuare impuniti. Un caso drammatico è quello di Naima, una giovane donna legata e torturata dai trafficanti libici che l’hanno sequestrata, chiedendo alla sua famiglia seimila dollari per il riscatto.
Il video di Naima mette in luce la brutalità e l’ingiustizia che caratterizzano questi luoghi di detenzione.
Un’altra importante testimonianza arriva da David Yambio, che ha descritto la sua vita in Libia come un vero e proprio incubo. Le sue parole dipingono un quadro di sofferenza estrema e di lotta quotidiana per la sopravvivenza a cui è stato sottoposto per 4 anni.
Nel 2021, David Yambio ha co-fondato il movimento Refugees in Libya, che nel tempo è diventato un importante aiuto per le persone bloccate nelle regioni del Nord Africa.
Le storie di Naima Jamal e David Yambio ci raccontano tanto. La Libia non è un paese sicuro per chi arriva, per chi parte e per chi lo attraversa.
Si prova un profondo senso di impotenza e ingiustizia nel vivere in un mondo inadeguato, soprattutto quando si considera che spesso si vorrebbe rimandare queste persone nei Paesi dove hanno subito torture, che molti Paesi definiscono “SICURI”. Paesi tra cui l’Italia.