di Roberto Cascino 

Ciò che è successo nel corso di questi ultimi mesi dimostra senza ombra di dubbio che l’integrazione europea ha ancora molti passi da compiere prima che l’UE possa considerarsi un organismo sovranazionale funzionale. 

La difesa dello stato di diritto è un principio fondante dell’Unione Europea, nello stesso modo il rispetto per i più basilari diritti umani deve essere totale ed imprescindibile. 

Ungheria e Polonia sono due stati governati da regimi semi-autoritari che hanno posto il veto al bilancio comunitario approvato in sede di Consiglio europeo il 21 luglio scorso. La forte opposizione di questi due Paesi era sostenuta con la motivazione secondo cui il meccanismo che lega il percepimento dei fondi al rispetto dello stato di diritto da parte di tutti i Paesi dell’Unione è una prevaricazione che riguarda l’asservimento e una radicale limitazione della sovranità nazionale.

Bruxelles non riesce a contenere i regimi non liberali e questo è un grande problema, perché per ogni questione dalla controparte si cerca, e spesso si trova, un compromesso che appiattisce verso il basso istanze non trattabili. 

Al di là del tema specifico che riguarda e circonda il fenomeno migratorio, tanto in politica interna, quanto sul piano europeo, Ungheria e Polonia hanno recentemente dimostrato quanto poco interessi loro mantenere la parvenza di uno stato di diritto. Infatti, il loro comportamento così plateale arriva ad affossare un principio cardine fondamentale come quello della separazione dei poteri. 

In Ungheria la situazione è a dir poco preoccupante in quanto, nel corso degli ultimi 10 anni al governo Orban, ha provveduto a mettere fuori legge partiti politici di opposizione, giornali, persino l’autonomia di pensiero nelle Università e all’Accademia delle Scienza. Fidesz, il partito governativo, si è tramutato in un partito di Stato, e Orban lo presiede a capo di un governo autoritario che guarda con interesse a Mosca e Pechino più che a Bruxelles. Anche lasciando da parte il meschino e ripetutamente violento, se non proprio criminale, atteggiamento nei confronti dei migranti, basterebbe rendersi conto che poteri che si è autoassegnato per la gestione della pandemia non hanno fatto che acuire questa situazione.

Per quanto riguarda la macroregione europea, l’obiettivo preciso di Viktor Orban è chiaro e ben noto da anni: il politico ungherese intende ristrutturare l’architettura comunitaria in toto, in primo luogo per non avere noie riguardanti stato di diritto e democrazia. Egli vorrebbe ridurre l’Unione Europea da organismo sovranazionale a conferenza intergovernativa. Il suo piano, peraltro, ottiene un certo consenso anche al di fuori del blocco di Visegrad, in Austria per esempio.

In Polonia invece la situazione è molto più controversa. Gli scontri di ottobre che si sono verificati a Varsavia, Cracovia e in molte altre città polacche sono lo specchio del fatto che la situazione nel Paese è più frastagliata. Le manifestazioni sono state organizzate nonostante il Covid-19 a seguito della controversa pronuncia della Corte Suprema del Paese sull’aborto, che di fatto è stato messo fuori legge. 

Nel corso del 2015, infatti, sono stati nominati presso la Corte Suprema alcuni giudici favorevoli alle posizioni delle autorità con una procedura contra legem, anche sanzionata dalla Corte di Giustizia europea. Nonostante questo, sembra che il governo guidato da Mateusz Morawiecki intenda percorrere il solco già tracciato dall’Ungheria sulla restrizione dello stato di diritto. 

Le pallide proteste avanzate dall’Unione europea, che fatica a supportare importanti comuni, centinaia di organizzazioni e decine di migliaia di membri della società civile in ampio disaccordo con l’esecutivo, non servono a contrastare queste derive autoritarie.

La politica comunitaria ha impiegato mesi ad approvare il bilancio pluriennale 2021 – 2027 e il piano economico a cui è legato il Recovery Fund dopo essere stata tenuta in ostaggio da una minoranza molto rumorosa. E i temi al centro del ricatto sono lo stato di diritto e i diritti umani basilari.

Certamente, questo discorso porta a fare considerazioni riguardanti i singoli temi derivanti dalle pretestuose motivazioni dei leader interessati. Si può affrontare nelle sedi istituzionali e, quando si potrà, nelle piazze e per le strade il tema della migrazione, della condizione femminile nella società, della tutela per le minoranze, del rispetto per il credo di ciascuno, dei diritti per il popolo LGBTQ+ e così via.

Ma non ci si deve piegare ad una logica utilitaristica secondo cui continue compressioni di diritti umani, magistratura indipendente e libero pensiero possono essere messi sul tavolo come merce di scambio per un tornaconto, economico o politico. L’Unione Europea non può pensare di scendere a patti con governanti che dileggiano il significato stesso di unione, anziché elevarlo come progettato dai Padri Fondatori di questa comunità che di certo ripudiavano regimi e derive autoritarie di ogni specie.

Gli anticorpi all’autoritarismo ci sono. Sullo stato di diritto e sui diritti umani non si deve concedere alcuna deroga. 

 

Fonti:

Immagine in evidenza: Kancelaria Primera / Flickr

It happened there: how democracy died in Hungary – Zack Beauchamp per Vox.com, 13/09/18

Hungary’s slow descent into xenophobia, racism and human rights abuses – di Keno Verseck per infomigrants.net, 21/10/19

C’è un accordo per il Fondo per la ripresa – ilpost.it, 21/07/20 

Polish woman’s quest for abortion exposes conflicted society – Alicja Ptak per reuters.com, 19/10/20

Dal Cile alla Polonia: piazze e diritti – Nessun Luogo è Lontano, 26/10/2020 Radio 24

L’Europa alla prova del nove e la serpe in seno – Nessun Luogo è Lontano, 17/11/20 Radio 24

Bilancio Ue e Recovery Fund: il no di Ungheria e  Polonia – Ispi online, 17/11/20

Ungheria: Orban, il nostro rifiuto all’Ue resta di ferro – Ansa Mondo, 27/11/20

Newsletter #42 di Centrum Report  8/12/2020

La mezza sconfitta di Ungheria e Polonia – ilpost.it, 11/12/20