di Alba Mercolella 

Questa non è una narrazione, ma un riadattamento di una parte della mia tesi di laurea in “Comunicazione, ICT e Media” intitolata “Il rapporto tra il fenomeno migratorio e l’evoluzione delle ICT: uno studio sulle classi prime del Liceo europeo A. Spinelli di Torino”.

Lo studio citato nel titolo è stato condotto a seguito dell’ultima edizione del Laboratorio di cittadinanza attiva al Liceo A. Spinelli di Torino, introdotto da un’analisi dedicata alla rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio a partire dalla fine degli anni ’80. È proprio a partire da questo periodo, infatti, che il suddetto tema guadagna terreno nel dibattito pubblico italiano. Quest’ultimo, al contempo, ha subito le influenze dell’evoluzione delle ICT (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione), che negli ultimi trent’anni ha visto cambiamenti epocali specialmente nel campo dell’informazione.

 

In questo estratto vengono introdotti e presentati gli studi esposti in “Spazi mediali delle migrazioni. Framing e rappresentazioni del confine nell’informazione italiana” (Binotto e Bruno, 2018) e in “La “crisi migratoria” e la crisi della sfera pubblica” (Lucchesi, 2019).

I titoli degli studi sono molto eloquenti, per cui io mi fermo qui e mi auguro che la lettura sia piacevole.

I mutamenti dell’informazione nel sistema mediale ibrido, come influisce sulla rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio

I media definiscono “le identità, chi è dentro, le appartenenze, chi è l’altro, nonché le dimensioni esplicative e le attribuzioni di responsabilità che preludono alla formazione delle politiche pubbliche, cosa succede e cosa bisognerebbe fare.” (Binotto & Bruno, 2018, p. 17).

Secondo gli Autori (2018), tale ruolo è evidente anche per quanto riguarda la rappresentazione del fenomeno migratorio. Gli studi sul tema dimostrano, infatti, la mancata capacità del giornalismo di leggere e restituirne la complessità: l’uso di rappresentazioni iconiche e immagini ricorrenti dello straniero che si avvicinano ai concetti di “male”, del “nemico”, del “diverso”; tra gli elementi stabili nel tempo si riscontrano la criminalizzazione dei migranti ed una rappresentazione che descrive il fenomeno come problematico, corredato da elementi di insicurezza; il discorso mostra una tendenza alla polarizzazione e alla politicizzazione del dibattito. Ciò contribuisce “alla costruzione dei migranti come un out-group” (Binotto & Bruno, 2018, p. 18).

Nella rappresentazione mediale lo straniero entra in un territorio percepito come “nostro”, all’interno di uno spazio “immaginato come una comunità, la nazione-come-luogo” (Binotto & Bruno, 2018, p. 36). Ciò dota tale spazio di connotati fisici, che viene “violato” dall’arrivo dei migranti e a cui si associa un confine simbolico, in quanto la chiave di lettura principale è la costruzione sociale della paura, apportando una certa differenza e diffidenza che si manifesta attraverso la criminalizzazione dei migranti. Qui Binotto e Bruno (2018) fanno riferimento alla “tautologia della paura” teorizzata da Dal Lago (2002), confermandone le teorie sulla politicizzazione del discorso sulla sicurezza (Binotto & Bruno, 2018). Di seguito, si presenta un adattamento del “Processo di costruzione tautologica dell’allarme”, tratto dalla terza edizione di “Non-Persone. L’esclusione dei migranti in una società globale” di Dal Lago (2002).

Fenomeno Migratorio - Tautologia della paura (Dal Lago, 2002)

D’altra parte, il sopraggiungere di Internet, prima dei social network, ha destabilizzato le forme di partecipazione alla sfera pubblica: rispetto alle arene mediatiche tradizionali, il mondo online avrebbe potuto consentire la rivendicazione dal basso della sfera pubblica verso un maggiore empowerment ed una crescita del protagonismo civico.

Alla realtà dei fatti, accade semmai il contrario. Secondo Lucchesi (2019), il sopraggiunto pluralismo sia di spazi che di fonti, congiunto alla molteplicità di accessi sia alla rete che ai social network, ha posto le basi per una frammentazione ed una cyberbalcanizzazione (Lucchesi, 2019) – la tendenza degli utenti ad entrare solo in gruppi ideologicamente omogenei (Della Porta, 2006) – della sfera pubblica (Lucchesi, 2019). I pubblici connessi definiti dal nuovo assetto mediale, come già affermato, possono entrare in contatto con le élite giornalistiche ed eventualmente dissentire verso l’agenda pubblica, per esempio attraverso la pratica dei commenti (Lucchesi, 2019).

Per chiarire il quadro, si vanno ad esporre per primi gli studi di Binotto e Bruno, riportati in “Spazi mediali delle migrazioni. Framing e rappresentazioni del confine nell’informazione italiana” (2018), ed il caso studio di Lucchesi, contenuto in “La “crisi migratoria” e la crisi della sfera pubblica” (2019), che va ad indagare i dibattiti nati nelle pagine Facebook dei quotidiani “La Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano” e “Il Giornale”.

“Spazi mediali delle migrazioni. Framing e rappresentazioni del confine nell’informazione italiana” di Binotto e Bruno (2018)

Negli ultimi decenni il concetto ed il processo di framing sono sempre più utilizzati, insieme a fenomeni ricorrenti nell’agenda setting. In “Spazi mediali delle migrazioni. Framing e rappresentazioni del confine nell’informazione italiana” (2018), Binotto e Bruno sintetizzano i loro studi sulla rappresentazione mediale dell’immigrazione e delle minoranze analizzando tre frame ricorrenti: il frame “sicurezza”, il frame “sbarchi” e il frame “umanitario”.

Il frame “sicurezza”

Nel frame “sicurezza” si riscontra un connubio tra il formato mediale della cronaca nera e i frame che danno ad una sequenza sconnessa di fatti un significato, alimentando momenti di attenzione e allarme. La metafora più ricorrente, anche tra i fenomeni criminali e le politiche pubbliche collegate, è quella del Far west: una situazione di disordine esposta ai rischi di una mancata regolazione che richiede un ritorno al controllo, bisogno incarnato dall’immagine del sindaco-sceriffo. Il luogo rappresentativo del rischio e del crimine è la città, la quale deve essere non solo riportata all’ordine, ma anche sorvegliata (se non separata) e difesa.

Il frame “sbarchi”

Riguardo al frame “sbarchi”, essi rappresentano (fin dai primi anni ’90, quando l’Italia ha iniziato ed essere dipinta come Paese d’immigrazione) l’immagine-icona degli arrivi. Da anni gli sbarchi vengono definiti come emergenza e tragedia e ricevono una notevole copertura mediatica, assumendo talvolta il carattere di eventi chiave la cui visibilità è però mutevole non solo in base al numero delle vittime, ma anche alla presenza di personalità di spicco (istituzionali e non), alle immagini impattanti a disposizione, alla consonanza con frame, temi e notizie preminenti nel discorso pubblico in un preciso momento. Il naufragio del 3 ottobre 2013 è tra gli esempi che aiutano a comprendere tale dinamica: la dimensione simbolica si incrocia con quella dell’azione politico-istituzionale, assumendo una centralità tale da istituire la “Giornata nazionale delle vittime dell’immigrazione” nel 2016, che ricade proprio il 3 ottobre. La componente di drammatizzazione è evidente anche nelle prime pagine, dove sono ricorrenti termini quali “strage” e “vergogna”. Il fatto assume nella sua fase iniziale il frame del lutto e della tragedia, in cui le reazioni degli attori politici possono essere riassumibili nella parola “vergogna”. Alla fase iniziale ne segue una regolativa: a seguito dei fatti del 3 ottobre è stata avviata la già trattata operazione “Mare Nostrum”, accompagnata dall’abolizione del cosiddetto “reato di clandestinità” (Binotto & Bruno, 2018), introdotto nel 2009 dal Governo Berlusconi. Questo perlomeno a livello di iniziativa, poiché avrebbe dovuto essere depenalizzato da reato penale ad illecito amministrativo, ma ad oggi non è stato ancora né depenalizzato né abolito (Portale Immigrazione, n.d.). Col tempo, la figura dello scafista assume i caratteri del folk devil: un criminale senza né scrupoli né (spesso) volto. Il linguaggio militaresco, tipico del frame emergenziale degli sbarchi, confluisce con l’identificazione del nemico pubblico da combattere. A ciò si congiunge la doppia articolazione dei confini, peculiare nella rappresentazione mediale dell’immigrazione: il confine esterno, con l’arrivo della nave di cui il trafficante è responsabile; il confine interno, che porta all’identificazione di quest’ultimo col criminale da scovare e reprimere. La narrazione assume i caratteri del panico morale, comportando l’urgenza di fare qualcosa e di contrastare il nemico.

Il frame “umanitario”

L’ultimo frame analizzato è quello “umanitario”, posto accanto ai frame dell’allarme sociale e securitario relativo agli sbarchi. Infatti, non lo si può considerare un frame in competizione con quello di “sicurezza” e “sbarchi” e nemmeno un controframe capace di affrontare questi ultimi, per quanto questo frame sia in grado di segnalare narrazioni meno conformistiche. Occorre sottolineare che anche questo frame, in maggior misura quando incentrato sul “pietismo”, spesso riflette stereotipi ed etichette nelle sue rappresentazioni. Si tratta di stereotipi riguardanti l’alterità in ottica paternalistica e di superiorità etnocentrica, di derivazione coloniale. Questo frame ricorre nei servizi e negli articoli di testate schierate a sinistra. Tra i riferimenti linguistici, si riscontrano il termine “strage”, “tragedia”, “disperazione”; tra le metafore sono presenti quelle legate alle dimensioni della morte o della speranza; i protagonisti vengono indicati come “profughi” e “disperati”, con una rappresentazione visuale che vede in maggioranza donne e bambini. Nella tabella sottostante vengono sintetizzati i frame nello spazio discorsivo mediale sulle migrazioni (Binotto & Bruno, 2018).

“La “crisi migratoria” e la crisi della sfera pubblica” di Lucchesi (2019)

Lo studio di Lucchesi (2019) pone, invece, l’attenzione sui dibattiti nati nelle pagine Facebook ufficiali di alcuni quotidiani (“La Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano”, “Il Giornale”), relativi alla cosiddetta “crisi migratoria”. Infatti, tale crisi è molto soggetta ai processi di mediatizzazione. Del resto, è un ruolo proprio dei media di definire i fenomeni migratori, i quali sovente alimentano la percezione di emergenza e insicurezza, andando ad innescare i meccanismi di produzione della paura descritti anche negli studi di Binotto e Bruno (2018). Il contributo di Lucchesi (2019) mostra come i social network contribuiscono ad alimentare tali frame.

Nel suo studio, l’Autore (2019) seleziona 36 dibattiti relativi al fenomeno migratorio, analizzandoli in base a quattro indicatori: la diversità delle opinioni, ossia il grado di pluralità o omogeneità delle posizioni presenti nel dibattito; la coerenza e reciprocità, per comprendere se le interazioni vadano verso il raggiungimento di un accordo o se venga incentivato lo scontro; il livello di argomentazione, per verificare la presenza di argomentazione delle affermazioni degli utenti; la civiltà, vale a dire la presenza di forme verbali aggressive verso altri utenti o gruppi. Dati i risultati, Lucchesi (2019) afferma che “gli utenti non mettono in gioco quell’istruzione formale e quelle risorse materiali necessarie alla realizzazione degli ideali di sfera pubblica deliberativa e reattiva che consentono lo sviluppo di un dibattito critico e cooperativo. Le forme partecipative […] hanno evidenziato […] una relazione problematica tra i nuovi media e le pratiche di partecipazione al dibattito democratico.”

Tipologie di dibattito prevalenti: i “dibattiti conflittuali” e i “dibattiti omogenei”

Le tipologie di dibattito principali individuate sono due: i “dibattiti conflittuali”, la cui modalità prevede lo scontro; i “dibattiti omogenei”, dove viene perpetuata la stessa posizione da parte degli utenti per mezzo di accordo, approvazione e supporto reciproco. La prima categoria si ritrova soprattutto nei commenti sulle pagine de “La Repubblica” e de “Il Fatto Quotidiano”, dove l’opinione negativa è affiancata da quella “umanitaria”, entrambe con forte connotazione emotiva, portando di conseguenza al rafforzamento del conflitto e a contenuti incivili, a scapito della chiarezza e a favore di battaglie che conducono alla stabilizzazione delle opinioni maggioritarie, che vanno a sedimentarsi nel discorso pubblico. La seconda categoria è invece presente tra i commenti della pagina de “Il Giornale”, in cui è l’effetto echo chamber a prevalere attraverso “la ripetizione di messaggi preconfezionati e “ritornelli” che assumono forme di litanie” (Lucchesi, 2019, p. 191).

Lucchesi (2019) conclude affermando che in tale contesto la sfera pubblica non può assolvere la sua funzione di controllo, tipica delle società democratiche. Essa è infatti debole e presenta un’argomentazione più chiusa che aperta, tipica delle sfere pubbliche manipolate: scarsa eterogeneità, ripetitività e ridondanza vanno a creare una sfera pubblica dimostrativa che non favorisce i processi di apprendimento collettivo. Questi elementi, insieme alla polarizzazione e alla conflittualità presenti nel dibattito, rafforzano i frame che vanno a strutturare le conoscenze sul tema, influenzando altresì le decisioni politiche attinenti. Va sottolineato, come riportato in Tabella 5, che la grande maggioranza dei commenti non riceve risposta. Rispettivamente, i commenti sulla pagina Facebook de “La Repubblica” che non ricevono risposta vanno dal 72% al 93%, quelli de “Il Fatto Quotidiano” dal 76% al 90%, mentre sulla pagina Facebook de “Il Giornale” vanno dall’84% al 95% (Lucchesi, 2019). I dati vengono sinteticamente riportati in tabella, in cui sono indicati il numero totale di commenti ricevuti dai post, i commenti con risposta per ogni post, il numero di commenti senza risposta per ogni post selezionato di ogni testata presa in analisi.

Fenomeno Migratorio - “La “crisi migratoria” e la crisi della sfera pubblica” di (Lucchesi, 2019)

Fonti

Binotto, M., & Bruno, M. (2018). Spazi mediali delle migrazioni. Framing e rappresentazioni del confine nell’informazione italiana. Lingue e Linguaggi, (25), 17–44. https://doi.org/10.1285/i22390359v25p17

Dal Lago, A. (2002). Non-Persone. L’esclusione dei migranti in una società globale (3ª ed.). Milano: Feltrinelli.

Della Porta, D. (2006). Presentazione. Rassegna Italiana di Sociologia, (4), 521–527. https://doi.org/10.1423/23283

Lucchesi, D. (2019). La “crisi migratoria” e la crisi della sfera pubblica. Rivista interdisciplinare di comunicazione, (1), 179–194. https://doi.org/10.15162/2612-6583/1135

Portale Immigrazione. (n.d.). Il reato di clandestinità 2019. Disponibile 24 Gennaio, 2020, da https://portaleimmigrazione.eu/depenalizzazione-reato-di-clandestinita/