di Fernanda Torre 

I numeri che arrivano dallo Yemen sono preoccupanti. 

Terribilmente. 

Dal 2015 il paese è attraversato da un conflitto che ha generato una delle più grandi emergenze umanitarie al mondo. 

Sei anni di conflitto, di una guerra dimenticata, dalla comunità internazionale, dai media e dai cittadini. 

Lo Yemen è diviso in tre fazioni: al nord e al centro del paese troviamo gli Houthi, il sud è controllato dal Consiglio di transizione meridionale ed infine il governo centrale detiene i restanti territori.

Un rarissimo coinvolgimento dei paesi occidentali ha portato ad una presa di posizione ridotta al minimo. Tutto lo Yemen risulta bloccato: sistema sanitario azzerato, un PIL sotto il livello minimo (ben inferiore allo 0), un conflitto interno totalmente incontrollabile. 

I beni primari, come acqua, cibo e medicinali sono inesistenti. Basti pensare che il Covid-19 è stato analizzato come un problema secondario rispetto alle esigenze del paese.  

I numeri sono spaventosi: circa 2,3 milioni di bambini sotto i cinque anni si trovano in uno stato di malnutrizione acuta, di cui 400.000 rischiano di perdere la vita per insufficiente nutrizione e carenza di cure urgenti. Sono poi 1.2 milioni le donne incinte e in allattamento in condizione di malnutrizione acuta e, quindi, impossibilitate ad offrire nutrimento adeguato per sé e per i propri figli (dati: Intersos). 

Il 22 marzo l’Arabia Saudita aveva proposto un’iniziativa per il cessate il fuoco, rifiutata dai ribelli Houthi.

L’intervento straniero e i bombardamenti aerei hanno sviluppato numerosi cantoni e milizie che controllano vaste aree, e allo stesso tempo collaborano nel rendere quasi impossibile uno Yemen unificato, e soprattutto un futuro di coesistenza sotto un governo democratico.

Tutto ciò ha generato una migrazione verso i paesi circondanti lo Yemen, come il caso dell’Arabia Saudita. Le famiglie in fuga sono troppo spesso incarcerate senza validi motivi, nelle prigioni saudite

Le testimonianze che arrivano sono pietrificanti: donne incinte, neo mamme e bambini ammassati in celle sovraffollate e pericolose dal punto di vista igienico e mentale. Detenuti, adulti e bambini incatenati l’uno all’altro e costretti a defecare a pochi centimetri dai loro letti.

Come possiamo leggere da un’indagine di Amnesty Internation, l’aumento delle carceri è  stato generato dal Covid-19. Difatti sino a marzo 2020, migliaia di migranti etiopi lavoravano nel nord dello Yemen, guadagnando il denaro necessario per pagare il loro “passaggio” in Arabia Saudita. Ma quando la pandemia Covid-19 si è aggravata, le autorità Houthi hanno iniziato a ordinare ai lavoratori migranti di andare al confine. Qui, sono rimasti coinvolti nel fuoco incrociato tra le forze saudite e houthi. 

Oltrepassato il confine, in Arabia Saudita, i migranti sono stati fermati dalle forze di sicurezza, che hanno confiscato i loro averi e in alcuni casi li hanno malmenati. La maggior parte è stata poi trasferita al centro di detenzione di Al-Dayer. E da lì, trasferita alla prigione centrale di Jizan e poi alle prigioni di Jeddah e La Mecca. Altri sono rimasti nella prigione centrale di Jizan per oltre cinque mesi.

Questo è lo Yemen, questa è la sua storia. La storia di un paese lasciato solo. Troppo lontano dagli occhi dei paesi occidentali, troppo lontano per smuovere le coscienze della comunità internazionale. 

Link utili: https://www.internazionale.it/opinione/madawi-al-rasheed/2021/04/02/yemen-arabia-saudita-piano