di Adna Čamdžić 

#1 LA STAGIONE DEGLI SFRATTI

“Gli sfratti si stanno diffondendo ad altre aree della Bosnia ed Erzegovina settentrionale e colpiscono anche le famiglie”, è quanto emerge dagli ultimi report rilasciati da No Name Kitchen (NNK), una delle ONG che continua ad operare attivamente e in modo continuativo sul territorio della Bosnia, offrendo supporto e assistenza alle persone in movimento. 

Gli sfratti sembrerebbero ormai essere all’ordine del giorno. Circa una settimana fa toccava al villaggio di Šturlić, dove la polizia ha forzato circa 160 persone, in prevalenza famiglie con minori, ad abbandonare le proprie case. Gli sfollati sarebbero poi stati portati verso i campi formali di Lipa e Borići.

Ricordiamo che, secondo la politica dei campi istituzionalizzati, a Borići (così come nel campo di Sedra) vengono accolte famiglie, minori non accompagnati e soggetti vulnerabili, mentre il campo di emergenza di Lipa (aperto nell’aprile 2020, chiuso a dicembre dello stesso anno in seguito ad un incendio e poi nuovamente riallestito dall’esercito) è stato destinato solamente a uomini soli (“single man”).

La polizia ci ha concesso dieci minuti e ci ha detto di portare con noi tutto quello che avevamo”, è quanto è stato riferito a NNK da una giovane donna. “Poi hanno iniziato a dare fuoco alle cose rimaste e hanno chiuso le porte delle case”, minacciando di sequestrare i telefoni se qualcuno avesse cercato di scattare foto o riprendere la scena.

“Finora, fortunatamente, non abbiamo ricevuto alcuna denuncia di violenza fisica da parte della polizia durante lo sgombero. NNK fornisce prodotti alimentari e non alimentari alle persone in movimento nell’area di Šturlić dallo scorso anno. La posizione del luogo, dove molte persone vivono insieme in grandi case, è tranquilla. Fino ad ora era un posto piuttosto tranquillo senza troppe interferenze da parte delle autoritá, motivo per cui diverse famiglie avevano scelto di stabilirvisi” – è quanto riferisce NNK.

I media locali hanno riferito che i migranti sono stati scortati dalla polizia nelle prime ore del mattino subito dopo che le squadre dei servizi municipali hanno sgomberato gli edifici (nell’area di Bihac) e hanno iniziato a erigere una recinzione per impedire a chiunque altro di entrare.

Ulteriori aggiornamenti sulla “stagione degli sfratti” sono arrivati qualche giorno fa dall’area di Bihać, dove le forze di polizia hanno sgomberato alcuni squat minori, dando nuovamente fuoco a tutto ciò che le persone si sono lasciate dietro.

Anche in questo caso ricordiamo che nel cantone di Una-Sana, oltre alle persone sistemate nei campi formali, moltissime persone vivono tra squat, “jungle camps”, boschi, foreste e case abbandonate, in situazioni provvisorie e precarie, in attesa di intraprendere il “game”. Ma la vita nella giungla, seppure spartana, è pur sempre preferibile alle condizioni di vita nei campi, soprattutto a Lipa, un campo isolato e lontano dalla città, dove oltretutto le razioni di cibo sono spesso insufficienti

Tuttavia, come sottolinea NNK, presente ormai da tempo in quei luoghi, non si tratta per nulla di un fenomeno nuovo: “Questa “stagione degli sfratti”, come la chiamiamo internamente, non è per nulla nuova, non è una serie di eventi che emerge dal nulla. Negli ultimi anni ci sono stati diversi episodi di sfratti verso il campo di Lipa (o verso Vucjak nel 2019) per liberare le strade di Bihać dai migranti. Ciò che rende questa stagione diversa da quelle precedenti è lo sforzo organizzato della polizia nel chiudere gli squat.” 

Inoltre, nelle scorse settimane è stato definitivamente chiuso un luogo di ritrovo importante: il Dom Penzionera, una casa di riposo mai finita, che per anni ha offerto rifugio e riparo a centinaia di persone, in alternativa ai campi. La descrizione che ne offre Lungo la Rotta Balcanica sembra la più adeguata: 

“Il Dom Penzionera non era solo il luogo indicato dallo “smuggler”, ma anche il tentativo di chi aveva deciso di abitarci di essere visibile, di vivere in un contesto urbano, in cittá, per poter ricaricare il proprio cellulare, per uscire per una passeggiata, per comprare il cibo al supermercato, per cucinarsi in autonomia un chapati su un fuoco improvvisato o semplicemente per essere più vicino al confine”.

Insomma, la strategia di chiusura dei campi informali non fa che aggravare la condizione di isolamento, esclusione sociale e discriminazione delle persone in movimento.

#2 ESTERNALIZZAZIONE DELLE FRONTIERE 

In un recente articolo uscito per Statewatch, Sophie-Anne Bisiaux e Lorenz Naegeli fanno il punto della situazione sulle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere verso la regione dei Balcani occidentali, prendendo come punto di partenza il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, pubblicato il 23 settembre 2020 e accompagnato da una promessa di “solidarietà”.

Sí, solidarietà tra Stati Membri…per espellere in maniera piú efficace le persone in movimento, non di certo per offrire loro un’accoglienza equa e dignitosa! Il Patto, secondo quanto sottolineano i ricercatori, punta tutto sulla cooperazione con Paesi Terzi, che diventa la priorità assoluta delle politiche di asilo europee. In altre parole: bisogna accrescere l’esternalizzazione delle frontiere.

Port of Vlorë in Albania (Sophie-Anne Bisiaux, April 2021) 

Tra tutti i Paesi terzi, i Balcani occupano un ruolo centrale, se non altro perché la “rotta balcanica” continua ad essere una delle principali rotte per l’ingresso nel territorio europeo, con il maggior numero di attraversamenti illegali lungo le frontiere (secondo i dati riportati da Frontex nel 2020).

Oltretutto, dal Summit di Thessaloniki del giugno 2003, i Balcani sono stati identificati come potenziali candidati all’ingresso nell’UE.

Sono, perció, i principali destinatari dei meccanismi europei di assistenza economica e tecnica, primo fra tutti lo Strumento di assistenza preadesione, conosciuto come IPA (Instrument for Pre-Accession Assistance). Tramite l’IPA sono stati distribuiti circa 200 milioni di euro solamente ai paesi balcanici per la gestione delle migrazioni, ovvero per la costruzione di nuovi posti di blocco alle frontiere, per la formazione e l’equipaggiamento delle autorità di frontiera, per l’apertura di centri di detenzione e di deportazione

Inoltre, è stata chiaramente definita la volontà di creare un database regionale (compatibile con il database Eurodac) per la raccolta di dati relativi alla migrazione e l’implementazione di una banca dati operativa, uno strumento di analisi comune e un sistema di monitoraggio dei dati biometrici dei migranti, per cui sia la Serbia che la Bosnia hanno già ricevuto delle risorse (si parla di circa 17 milioni di euro dati alla Bosnia tra il 2015 e il 2020 tramite il fondo IPA).

Stiamo andando verso un sistema di Dublino extra-europeo?

Di certo la regione balcanica sta diventando un deposito per i migranti e mentre vengono implementate tecnologie sempre più innovative per la gestione dei campi, per cui i migranti sono già costretti a rilasciare le proprie impronte per accedere a servizi umanitari di base, le condizioni di vita continuano ad essere disumane e inaccettabili

#3 LINEA D’OMBRA 

Di recente MeltingPot ha pubblicato il report dell’ultimo viaggio in Bosnia ed Erzegovina intrapreso dai volontari di Linea d’Ombra ODV. La loro testimonianza è preziosa e ci aiuta a restituire un po’ di umanità alle persone in movimento. Di seguito un estratto: 

Bihac, la sera del 22, abbiamo vissuto il culmine del viaggio.
In una zona alberata ai margini della città, non distante dal Borici, 

un gruppo di migranti alla partenza.

Un attimo prima di partire un gesto solenne di raccoglimento: 

i corpi immobili, in semicerchio, le mani aperte tese al cielo, china la testa.
Subito dopo, la fila si perdeva rapidamente lungo il pendio, 

verso la boscaglia ormai notturna.
In questi rapidi gesti all’unisono, c’era qualcosa di solenne, d’intenso, di vivo.
Abbiamo colto pienamente, nel silenzio,

il senso della parola ‘game’.
Era accaduto qualcosa di importante.

#4 RADICI

Si segnala infine l’ultima puntata del podcast Radici, che racconta il game, quel “gioco atroce” che tutti devono affrontare nel tentativo di penetrare la Fortezza europea

Nell’episodio troverete gli interventi di Mujeeb Ur Rehman Larosh, studente di architettura al Politecnico di Torino arrivato in Italia dal Pakistan attraverso la rotta balcanica e Silvia Maraone, coordinatrice del progetto Ipsia-Acli a Bihac.

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