di Fernanda Torre 

Per un giorno il rifugio è stata la loro casa.

Siamo ad Oulx, un luogo che è diventato casa per noi volontari che rivediamo in quelle mura un’accoglienza che ci ricorda Idomeni e l’Eko Refugee Camp. Sono ricordi lontani ma estremamente indelebili, che ci riportano indietro nel nostro viaggio.

È proprio in questo viaggio vogliamo descrivere, con particolari che ovviamente saranno discordanti dalla realtà, un percorso ed una vita.

I particolari saranno discordanti perché raccontato di una storia vera, vissuta dal 2018 al 2021 e proprio per questo non vogliamo divulgare alcun dettaglio prezioso.

Abbiamo conosciuto Alan (nome di fantasia) nel rifugio di Oulx. Alan viene da un paese dell’hinterland di Teheran. Figlio d’arte, così lui si è descritto. Il nonno pittore, il padre pittore e scultore e lui alle prime armi con gli studi del fumetto.

Il suo viaggio inizia a 11 anni, parte con la madre, la sorella, la cugina e lo zio. Teheran diventa subito una città scomoda, in breve tempo ci confessa che suo papà è rinchiuso in una delle prigioni della capitale. L’accusa è spionaggio. Il processo assente, la condanna devastante: 25 anni e un numero di frustrate che non ci vuole dire. Alan è sicuro che il padre abbia subito torture, ma di questo giustamente vuole evitare di parlare.

Il loro viaggio inizia con un aereo che li porta direttamente in Russia, lì tutta la famiglia lavora qualche mese per riuscire a mettere i soldi da parte per affittare una macchina che li possa portare verso la rotta balcanica.

Dopo 6 mesi riescono a partire, arrivano in Bulgaria, lì dove ha inizio la loro odissea.

A tutti i componenti della famiglia vengono prese le impronte, rimangono chiusi in un campo lungo il confine. Condizioni igienico sanitarie drammatiche. Alan e la madre prendono la scabbia, la sorella la candida. Sia la scabbia che la candida diventano qualcosa di impossibile da togliere, con una doccia per 250 persone e due bagni per 500.

Rimangono in Bulgaria per diversi mesi, poi ripartono.

Arrivano in Serbia, per poi essere riportati in Bulgaria.

Ripartono, arrivano in Croazia, per poi essere riportati in Bulgaria.

Ripartono, ma subito in Macedonia vengono fermati da forze paramilitari.

Ripartono per la quarta ed ultima volta, arrivano in Bosnia e si fermano a Velika Kladusa.

Non trovano le forze per ripartire, ma devono. Sanno che bisogna allontanarsi il prima possibile dalla rotta balcanica.

Provano più e più volte il confine ma non riescono.

Così Alan, a 13 anni e mezzo implora la madre di lasciarlo andare per aprire la strada e trovare il percorso più rapido.

La madre, dopo vari tentennamenti, si convince.

Alan parte, arriva alla frontiera ma viene preso immediatamente dalla polizia croata per poi essere trasferito in un campo della capitale.

Dopo tre settimane la madre e lo zio di Alan si convincono e partono verso il confine croato. Arrivano al fondo della “jungle” e mostrano subito la sua foto.

***

Passata qualche ora la polizia di frontiera li fa passare, per raggiungere Alan nel campo della capitale.

Increduli arrivano e trovano Alan.

Dopo pochi giorni capiscono che quella è la loro occasione, devono scappare e ripartire.

Il “the game” sembra quasi giunto al termine, stremati da un percorso e da una grande ostilità. D’altronde Alan, ci ricorda che siamo tutti uguali.

In poche ore, nei boschi croati vengono accerchiati da gruppi di paramilitari. Li vogliono portare al confine per poi rispedirli in Bulgaria.

Nel dramma di quei momenti, Alan, lo zio e la madre lasciano la foresta con 3’500 euro in meno e possiamo immaginare il motivo.

Dopo qualche giorno arrivano a Trieste e con differenti cambi di treno, Alan, la madre, lo zio, la sorella e la cugina scendono alla stazione di Oulx.

Alan mi ha raccontato tutta questa storia, con una tale naturalezza e una grande attenzione nei dettagli.

Gli chiesi il motivo di questa grande fiducia nei miei confronti, la sua risposta fu: “per il passaparola, racconta la mia storia e il dramma che da tre anni viviamo”.

Alan è partito a 11 anni, la sorella a 8 e la cugina a 10.

Sono partiti da Teheran lasciando una famiglia, una vita, una professione e un uomo destinato a morire.

Alan non ha paura dei duemila metri di Monginevro, del freddo, o del rischio di perdersi nei boschi. Può succedere di tutto, ma la rotta balcanica è altro.

Alan è partito l’indomani, con il pullman delle 19.45.

Per un giorno, Alan è stato cittadino di Oulx. Ed io ne sono fiera.

 ***

Se la storia di Alan deve porci delle domande, dobbiamo riflettere su come il nostro Parlamento pochi giorni abbia votato con naturalezza e CONSAPEVOLEZZA il rifinanziamento della missione libica.

Il dramma vissuto da Alan è uguale al dramma di Tima, Sekou, Ibrahim e tanti altri ragazzi passati dalle carceri libiche.

E noi di questo dobbiamo esserne coscienti.