di Andrea Metta 

Patrik Zaki non è più in carcere. Questo sollievo è iniziato l’8 dicembre, quasi una settimana fa ed è la prima notizia non brutta che arriva sulla sua vicenda. L’incubo inizia a febbraio 2020 e l’Immacolata segna la prima, attesa, tregua. 

Il sorriso dello studente di Bologna ha fatto il giro del mondo in questi giorni. L’abbraccio con la sorella ha allietato i cuori di molte persone, anche se il lieto fine ancora non c’è. 

Di lui si è parlato molto nel corso di questi due anni. Abbiamo imparato a conoscere la sua storia, che ricorda molto la terribile e ingiusta vicenda di Giulio Regeni.

Ma come siamo arrivati, di nuovo, a guardare da lontano la vita di un altro ragazzo incarcerato e torturato ingiustamente? 

L’Egitto è una Repubblica semipresidenziale, formalmente. Ma è una dittatura de facto.

Il presidente Abdel Fattah al-Sisi, militare e politico egiziano, è più noto semplicemente come al-Sisi. Per il Parlamento Europeo e Amnesty International la sua presidenza ha segnato un grande e inesorabile deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto.

Per Human Rights Watch e Amnesty International le torture sono una prassi abituale, anche verso minori, e causano centinaia di morti restando impunite. 

Il 1° luglio 2013, dopo una crescente insofferenza nei confronti del governo dei Fratelli Musulmani, le Forze Armate egiziane lanciano un ultimatum. Il 3 luglio al-Sisi comandante in capo delle forze armate, avvia un colpo di Stato militare deponendo Mohamed Morsi. Viene accolto come «Salvatore della patria»: una patria che soffre per la crisi politica e finanziaria che devastava l’Egitto. 

Eletto come presidente prima nel 2014 e poi nel 2018, attraverso due vittorie schiaccianti (96,91% dei voti nel 2014). Nel 2018 l’altro candidato era un suo dichiarato ammiratore. Gli altri si erano ritirati dalla corsa, fra questi due arrestati soltanto per aver presentato la candidatura. 

Il grande slancio definitivo alla sua presidenza avviene nel 2019 con un referendum costituzionale, che attribuisce maggiori poteri al Presidente e garantisce la durata del mandato di al-Sisi almeno fino al 2030.

L’Egitto, sotto di lui, è tornato ad avere un ruolo fondamentale a livello internazionale, soprattutto come argine al fondamentalismo Jihadista. Ha mantenuto rapporti con Usa e Unione Europea e cucito legami con partner come la Russia e la Cina.

Più volte sono state criticate le apparenti elezioni democratiche, in cui però si manifestano episodi di violenza sulla effettiva libertà di voto. Inoltre, ogni candidato indipendente vince sistematicamente contro i nomi di regime per poi venire inglobato nello schieramento di al-Sisi. Così, la sua maggioranza si allarga.

In questo scenario politico è evidente come sia facile per le Forze Armate strumentalizzare qualsiasi azione, tacciandola come terroristica e di pericolo per il Paese. In questo modo, è possibile perseguire chiunque esprima anche un minimo dissenso verso le istituzioni egiziane.

La situazione si aggrava ancora di più se la persona in questione arriva dalla minoranza cristiana come nel caso di Patrick Zaki, i cui genitori sono di religione cristiana copta.

Questa parte della popolazione, a partire dall’insediamento dell’ex comandante, ha visto crescere le persecuzioni e le violenza ai danni della propria comunità. Insomma, purtroppo Patrick Zaki ha tutte le caratteristiche per essere strumentalizzato e detenuto dalle autorità egiziane.

 

Inoltre, il Paese africano risulta un partner commerciale, economico e geopolitico fondamentale per i paesi europei, soprattutto l’Italia

Questo dato ha limitato molto i governi occidentali nelle azioni contro l’Egitto e a favore dello studente. Una risposta su quanto sia eticamente ed economicamente “giusto”, purtroppo, non c’è ancora.

Accusato di propaganda sovversiva e di tentativo di fomentare l’odio verso il Governo egiziano e il suo Presidente, soprattutto attraverso l’uso di post Facebook, Zaki è stato imprigionato e torturato. Rischia la detenzione definitiva per 5 anni in uno dei carceri ritenuti peggiori dalla comunità internazionale, quello di Tora, in cui ha passato questi lunghi mesi.

La speranza, adesso, è che la politica, sia italiana sia europea, si adoperi definitivamente per riportare il ragazzo in Italia e fargli ricominciare la sua vita.

La politica potrebbe dimostrare così, tra le altre cose, di portare a casa più risultati per i propri cittadini rispetto ad un’attrice di Hollywood, dotata semplicemente di umanità e coraggio.