• Articolo originale Di Srdjan Sušnica (disponibile qui, pubblicato il 26/02/2022 per Gradski Portal il 26 febbraio 2022)
  • Traduzione a cura di Adna Čamdžić 

Mentre in Ucraina continua la sanguinosa aggressione perpetrata dal Cremlino, nei Balcani occidentali, memori del recente conflitto, si temono ripercussioni e si discute delle conseguenze della guerra in Ucraina a livello regionale. Riportiamo un commento pubblicato da Srdjan Sušnica, scrittore, attivista e analista politico serbo di Banja Luka (in Republika Srpska), impegnato nella lotta all’oblio, al revisionismo storico, al nazionalismo e fascismo. Sušnica è stato piú volte arrestato e ha ricevuto minacce di morte da parte delle forze di polizia serbe per le sue critiche al regime di Dodik, per le quali ha dovuto abbandonare la Republika Srpska e allontanarsi dalla BiH. Per un approfondimento si consiglia la puntata del podcast di Human Rights Defender, in cui Srdjan ci racconta cosa succede quando si osa denunciare i regimi autocratici che abusano delle risorse pubbliche per reprimere i diritti umani e la democrazia. Disponibile qui.

Sono trascorse più di 48 ore dal sanguinoso attacco di Putin contro il popolo ucraino. È difficile tenere il conto dei morti, dei feriti, dei profughi e delle città cadute in rovina. Il genocidio e il culturicidio a lungo preparati contro il popolo ucraino e la rimozione dello Stato ucraino dalle mappe del mondo si sta realizzando di fronte agli occhi di tutta l’umanità.

Lo Stato che fu uno dei 51 fondatori originari delle Nazioni Unite sta per essere distrutto. Il crimine è presto riconosciuto. Un piccolo uomo russo del KGB, ex comunista e neo-credente, dall’aspetto minuto e un enorme appetito omicida. Quel criminale, nelle prime ore della mattinata del 24 febbraio, ha depositato l’arsenale nucleare dell’ex Unione Sovietica e dell’odierna Russia sul tempio del pianeta e, sotto la minaccia di una distruzione di massa, ha avviato l’annientamento di un’intera nazione, lanciando un avvertimento diretto a Finlandia, Paesi Baltici, Polonia e Svezia. Se fino ad ora non era chiaro a nessuno, lo è ora che il pulsante nucleare russo è nelle mani di un dittatore folle, che ha convinto se stesso, la società russa e molti cosiddetti esponenti di sinistra in tutto il mondo che le campagne criminali che sta portando avanti e quelle che sta ancora pianificando, non sono altro che una vendetta e una riscossa per la scomparsa dell’Unione Sovietica dalla storia, per l’espansione della NATO; che questo è l’atto di un uomo giusto e che tutte le colpe sono da attribuire all’Occidente, alla democrazia, al liberalismo, alla NATO e agli Stati Uniti; che è una punizione giusta per il peccato di ogni nazione che decida di scegliere e seguire i valori democratici e liberali e che decida di chiedere protezione per tale stile di vita rifugiandosi sotto l’ombrello della NATO.

Ma Putin non è l’unico cattivo della storia dell’umanità che ha coltivato una grande narrazione vittimistica del suo popolo, della sua innocenza e correttezza, di un popolo perdente che deve riconquistare l’onore perduto (tramite pogrom e genocidi contro i più deboli), di un popolo prescelto che nella conquista e nella schiavitù degli altri trova la propria vendetta e la riparazione delle colpe della storia.

Prima di Putin c’era Adolf. E poi ancora Slobodan (Milošević). E oggi vi è un uomo che osserva l’evolversi della situazione con grande calma, che decide di non condannare lo spargimento di sangue di Putin, il suo nome è Aleksandar (Vučić). Per il primo ebrei e non-ariani erano i responsabili di ogni cosa. Per il secondo, la colpa era attribuibile a tutti, all’intero pianeta e alle nazioni vicine, per lo più “Šiptari”(1),“turchi”(2), “ustascia”(3), “balije”(4) e “milogorci”(5). Per il terzo è sempre colpa delle persone appena menzionate. Un altro tiranno, Bashar al-Assad, non ha condannato, anzi ha accolto l’intervento di Putin definendolo come “revisione della storia”. Riconoscerete i tiranni come Milošević, Putin, Karadžić, Vučić, proprio per la chiamata messianica a “rivedere la storia” che risuona nelle loro orecchie.

Oggi, il covo più oscuro della civiltà europea, l’angolo più oscuro dell’intera coscienza peccaminosa europea, è proprio quel paese in cui il terzo (Vučić) siede vestendo i panni di un piccolo Putin.

Nella buia Serbia di Vučić, dopo le prime ore del mattino del 24 febbraio, hanno iniziato lentamente ad aprirsi tutte le ulcere purulente della “questione nazionale serba” definita come “mondo serbo”. Nelle ultime 48 ore Aleksandar Vučić o i suoi aiutanti, o il tiranno folle Dodik, hanno aperto la bocca per parlare, è scoppiata una delle ulcere della Grande Serbia e ha cominciato a sgorgare una menzogna purulenta, una menzogna oscura e mortale. Ogni volta che aprono la bocca, da queste ulcere cominciano a fuoriuscire le revisioni storiche portate avanti in nome della Grande Serbia in cui le élite politiche serbe hanno investito generazioni di bambini serbi (non i propri), concludendo con l’ultima revisione storica effettuata da Ćosić(6), che è costata la vita a 120.000 persone, tra cui più di 30.000 serbi.

Putin Vucic Mosca

Foto: il presidente russo Vladimir Putin (sulla destra) incontra il presidente serbo Aleksandar Vucic (sulla sinistra) al Cremlino, a Mosca, Russia, 23 giugno 2020. Fonte: EPA-EFE/ALEXEI NIKOLSKY/SPUTNIK /KREMLIN POOL. 

Una di queste fughe purulente che si sta ancora allargando, è fuoriuscita dalla bocca di Vučić, quando ha affiancato la propria condanna all’aggressione criminale di Putin contro un paese indipendente alla condanna contro il presidente Vladimir Zelensky per l’intervento della NATO contro la Jugoslavia.

Pertanto, il maestro delle menzogne ha voluto equiparare la natura, il carattere e la responsabilità dell’aggressione e dei crimini di Putin contro un paese indipendente all’intervento della NATO con cui il mondo ha salvato gli albanesi dall’annientamento totale. Così, il piccolo Putin di Belgrado ha voluto equiparare il genocidio e il culturicidio di Putin contro gli ucraini con l’azione necessaria della NATO per impedire al regime criminale di Belgrado (di cui Vučić era parte integrante) dal commettere nuovamente un genocidio, su scala ancora più mostruosa di quanto avvenuto in Bosnia.

L’intervento della NATO in Serbia si potrebbe ora paragonare all’intervento NATO in Ucraina che purtroppo non avverrà mai, ma con cui si potrebbe salvare l’Ucraina e il suo popolo dall’abisso dell’estinzione che stanno affrontando oggi.

A prima vista sono più che evidenti i paragoni tra il piccolo e il vero Putin, tra le campagne criminali a Belgrado negli anni ’90 e la scia criminale di Putin dal 2008 in avanti. Ciò che suscita orrore è il presupposto, legittimo, che ci siano più che ovvi paragoni tra i piani futuri, le intenzioni e gli interessi di questo piccolo uomo e il vero Putin.

Tuttavia, bisogna fare attenzione alle analogie a causa di un’altra questione – ormai da tempo i regimi di Banja Luka e di Belgrado hanno attinto al contesto post-sovietico solo quelle “analogie” che possono usare per argomentare la propria politica nella regione post-jugoslava.

Così, dal punto di vista di Belgrado, gli esempi dell’occupazione delle regioni ribelli di Donetsk e Luhansk, della Crimea, dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia sono spesso paragonati alle aspirazioni irredentiste delle entità della Republika Srpska e del Kosovo settentrionale. In altre parole, se loro possono, allora anche noi possiamo, ci manca solo una potenza nucleare che ci sostenga. Dal punto di vista di Mosca, le tendenze filo-russe in Georgia e Ucraina sono troppo spesso identificate con l’indipendenza del Kosovo. Le rivolte filo-russe a Donetsk e Luhansk o nell’Ossezia del Sud, o le rivolte filo-serbe in Croazia e Bosnia ed Erzegovina (che di fatto sono ancora in corso), sono spesso usate dai cleronazionalisti russi e serbi come presunti esempi del diritto delle nazioni all’autodeterminazione.

Predrag Trokicić

Foto: Predrag Trokicić tratta da https://pescanik.net/koji-je-politicki-cilj/  

L’aggressione del Cremlino contro l’Ucraina e il crimine che si sta dispiegando davanti agli occhi di tutti hanno rischiarato le acque torbide della propaganda e delle false narrazioni, dei miti e delle politiche, e hanno mostrato come Putin immaginasse il diritto all’autodeterminazione: per una nazione eletta che possiede un arsenale militare e nucleare si tratta del diritto all’autodeterminazione, invece per un popolo che è stato dichiarato inesistente, per il “nulla” e per i terroristi il diritto all’autodeterminazione di Putin è il diritto di essere russi o in alternativa scomparire.

Il mondo non ha già visto tutto questo in Bosnia e ancora prima in Croazia? Questa interpretazione “putiniana” del diritto all’autodeterminazione è stata a suo tempo praticata “legittimamente” dai nazionalisti serbi in Croazia e Bosnia sotto la guida dei leader politici, che per primi hanno compreso e messo in pratica il diritto all’autodeterminazione in quanto diritto di pianificare e portare avanti il genocidio e la pulizia del territorio dagli indesiderati, su cui poi si sarebbero potuti “autodeterminare” solamente i serbi (quelli che non sono finiti in trincea o che non si sono dati alla fuga). Dagli anni ’90 ad oggi, i sacerdoti della Grande Serbia hanno portato avanti la stessa narrazione del diritto all’autodeterminazione per cui solo i serbi della regione hanno il diritto ad autodeterminarsi, tutti, ovunque e in ogni occasione. Gli altri hanno il diritto di diventare serbi o di scomparire. Non esiste nessuno nei Balcani a cui i governanti, i patriarchi e gli intellettuali della Grande Serbia ad un certo punto del XX o XXI secolo non abbiano negato il diritto all’autodeterminazione o non sia stato dichiarato come popolo falso, nazione inesistente, invenzione comunista o un “nulla”. Proprio come Putin disumanizza gli ucraini prima di iniziare ad ucciderli.

Quando Vučić rivolgendosi alla stampa e commentando la dimostrazione della forza militare russa, enfatizza l’attuale forza militare serba e la confronta con la ormai defunta JNA (Jugoslovenska narodna armija, in italiano Armata popolare Jugoslava), volente o nolente traccia un parallelo tra il ruolo privilegiato della Russia nello spazio post-sovietico e il ruolo simile della Serbia nello spazio post-jugoslavo.

E quel ruolo è pacifico, stabilizzante e costruttiva solo ed esclusivamente se visto attraverso le lenti di Mosca, ovvero Belgrado. Dal punto di vista dei vicini della Serbia, primi fra tutti il Montenegro, la Bosnia e il Kosovo, pensare al ruolo della Serbia di Vučić nello spazio post-jugoslavo (come ad esempio all’iniziativa “Open Balkan”) provoca orrore, preoccupazione e paura per un passato falso, un presente impoverito, un futuro estremamente incerto e soprattutto paura della “revisione della storia” e paura del diritto serbo ad autodeterminarsi ovunque e in ogni momento. Paura di un bullo che scambia il proprio quartiere per il suo parco giochi. Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che Vučić e Dodik vorrebbero vedere la potenza russa dispiegarsi nei Balcani, al servizio dei serbi per soddisfare le tendenze irredentiste e gli interessi personali di questi due regimi cleronazionalisti. Come negli anni ’90 quando tutte le forze della JNA, la sicurezza dello stato, la polizia, i paramilitari di partito, la chiesa e l’intellighenzia nazionalista furono coinvolte nella creazione della RSK (Republika Srpska Krajina) e della RS (Republika Srpska) ma anche della Herceg Bosna. I sogni bagnati di Belgrado, ma anche di alcuni volti di Zagabria, sono quelli in cui la potenza russa e la destra internazionale si mobilitano per riunire la Serbia alla RS, resuscitano la criminale Herceg Bosna, portano a termine il genocidio e i progetti incompiuti di Ćosić, Milošević, Tudjman, Boban e Karadžić, in cui atterrano agli aeroporti nella vastità delle “terre serbe” e tra le rocce dell’Erzegovina occidentale.

Entrambi i governi filorussi, quello di Belgrado e quello di Banja Luka, si sono subito affrettati a sostenere come la decisione di Putin di riconoscere e occupare Donetsk e Luhansk (prima di continuare l’aggressione all’Ucraina) abbia messo in discussione il diritto internazionale e l’architettura di sicurezza europea (ma dai!?) e come potrebbe avere ripercussioni anche nei Balcani. Un’altra analogia che funge da profezia che si autoavvera.

Quindi chi altro, se non Vučić e Dodik, potrebbe portare le ondate di aggressione russa e la potenza di Putin sulle coste balcaniche?! Lo fanno da circa un decennio, il primo con il pretesto di finta neutralità e mantenimento della pace, e il secondo apertamente e direttamente. La più recente aggressione di Putin contro uno stato sovrano è stata descritta da entrambi i regimi come un evento planetario e storico per i Balcani e per i Serbi, se non altro quelli che seguono Vučić e Dodik. Anche la prima aggressione contro l’Ucraina era stata accolta con un entusiasmo simile ma più pacato, ed era stata celebrata a Vidovdan nel 2014 dall’intera élite politica ed ecclesiastica serba insieme alle delegazioni russe in occasione dell’assemblea postmoderna tenutasi per l’apertura di Andrićgrad.

Dodik Putin

Foto: Milorad Dodik, membro della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina (sulla sinistra) e Vladimir Putin (sulla destra). Fonte: MIKHAIL KLIMENTYEV via Getty Images 

Con l’aggressione e i crimini commessi dal regime di Mosca contro il popolo ucraino, l’ordine internazionale non è stato affatto messo in discussione, è stato palesemente violato, ma non è e non scomparirà, cosí come non è scomparso nel 2014, nel 2008, e nemmeno al tempo delle dimostrazioni di forza della Grande Serbia nel corso degli anni ’90.

Lo dimostrano le ultime decisioni dell’ONU e dell’UE. In secondo luogo, questo avvenimento non ha scosso, e tanto meno cambiato, l’architettura di sicurezza transatlantica o dell’Europa orientale ma – come a seguito di ogni azione criminale russa nel campo della politica estera – si è rafforzata ancora di piú. Sono frasi propagandistiche che servono a rafforzare la narrazione pro-Putin di una Russia forte che è tornata a bussare alla grande porta nei panni di potenza militare e politica. Di una Russia di fronte alla quale trema tutta l’Europa, la NATO e l’ordinamento giuridico internazionale, quindi dovrebbero sentirsi scossi anche i Balcani. Quello che il mondo deve temere è l’uomo del Cremlino che non ha freni né meccanismi di sicurezza che gli impediscano di sparare domani con testate nucleari contro Ucraina, Balcani, Polonia e Gran Bretagna. Mentre gli aggressori di Putin tentano di far fuori i difensori ucraini, il piccolo Putin di Belgrado ha rifiutato di partecipare alle sanzioni contro il più grande criminale di guerra europeo del XXI secolo, ma ha sostenuto in modo vile l’integrità territoriale ucraina. In quest’ultima scarica di menzogne, il piccolo Putin ha dimostrato di avere eguale empatia sia per l’aggressore e il criminale che per la vittima (come è possibile?). 

C’è qualcosa di più della semplice ipocrisia dietro a questa neutralità e spinta pacifista del regime di Belgrado. Vi si nasconde la consapevolezza di Belgrado della magnitudine dei crimini commessi, delle fosse comuni mai rinvenute, vi si nasconde la propria coscienza impura e la consapevolezza della punizione che potrebbe arrivare.

Lo sguardo della Serbia sull’Ucraina e sulla Russia oggi è uno sguardo nello specchio della storia. Il fascino per la forza militare e l’aggressività di Putin (e in generale) è specchio dell’ossessione dell’élite nazionalista serba per le proprie intenzioni incompiute e della frustrazione per la propria impotenza. Non l’incapacità di uccidere semplicemente, per quello c’è e può esserci la forza – ma l’incapacità di riuscire a uccidere fino alla fine rimanendo impuniti. Il disprezzo e l’ignoranza espressi nell’atteggiamento della Serbia nei confronti dell’Ucraina come vittima sono specchio di quel sentimento di trascurabilità, del “nulla”, del disprezzo per i più deboli che si nota nell’atteggiamento della Serbia nei confronti della Bosnia, del Montenegro o del Kosovo. Questo mito di neutralità e pacifismo dello stato serbo, soprattutto così come messo in pratica da Vučić, rappresenta la fuga del criminale dal proprio passato e dalla semplice domanda “papà che cosa hai fatto veramente negli anni ‘90?” – è la fuga del criminale da se stesso verso la culla dell’oblio e dell’innocenza, è una fuga tra le braccia di un criminale più potente ancora, è la fuga di un criminale verso un nuovo crimine. Questa è la fuga di Vučić da Potočari, inscenata come fuga da una posizione impossibile e insopportabile – la posizione di un criminale che è venuto a rendere omaggio alle ombre delle vittime di un crimine che non ammette di aver commesso. Il professore Nerzuk Ćurak ha creato una bella frase per descrivere la politica ufficiale di Belgrado nei confronti della Bosnia, dice “pacificazione criminale” (“zločinačko mirotvorstvo”). Su questa scia aggiungerei che i crimini di Putin oggi, come i crimini compiuti dalla Grande Serbia degli anni ’90 sono in realtà i crimini di una politica di “pacificazione” pianificata in modo vile, alla Ćosić.

Nulla di ciò che Putin sta facendo in Ucraina è nuovo o originale per l’Europa. Tutto questo è giá stato visto nell’attuazione delle politiche di Milošević e Ćosić negli anni ’90, che sono tutt’ora in corso.

La menzogna di Putin su come i russi siano minacciati in Ucraina e l’abuso della questione kosovara, dell’intervento NATO del 1999 e del genocidio di Srebrenica per legittimare il proprio atto di conquista, sono un contrappunto alle bugie passate e attuali dei politici e gerarchi serbi sulla discriminazione del popolo serbo, sulla minaccia alla chiesa serba, alla “santità” e alla lingua, su Jasenovac, sulle vittime civili serbe nell’ultima guerra – queste menzogne hanno lo stesso obiettivo e metodo, ma non la stessa potenza e nemmeno lo stesso contesto. È solo un preludio alla guerra. Se negli anni ’90, dopo i grandi discorsi ai congressi intellettuali serbi, alle sessioni della SANU (Accademia Serba delle Scienze e delle Arti, in serbo Српска академија наука и уметности), alle assemblee nazionali o ai consigli supremi di difesa sulla discriminazione dei serbi, tutti, ovunque e da parte di tutti, si è arrivati a mettere i non serbi nei campi di concentramento, di lavoro e nelle fosse comuni, niente di meno dovrebbe essere atteso dal regime di Putin?

Dodik

Foto: Milorad Dodik. Fonte: https://www.tacno.net/banja-luka/poricanje-je-srce-fasizma/ 

Infine, sia Vučić che Dodik non desiderano altro che vedere il crollo dell’ordine legale internazionale o uno stallo alla Trump.

I predecessori politici di Vučić, Ćosić, Milošević e Šešelj, speravano nella stessa cosa all’epoca e credevano che la “fine della storia” di Fukuyama assieme alla fine della loro “odiata” Jugoslavia potessero dare carta bianca alla creazione di un nuovo ordine serbo nella regione, e che la Bosnia, il Montenegro e il Kosovo sarebbero diventati una tabula rasa su cui, attraverso genocidi, granate e (ovviamente) altri atti impuniti, tracciare i nuovi confini dei nuovi stati serbi, oppure “ricollocare umanamente” e ancor piú “umanamente” spazzare via interi villaggi, città, famiglie, memorie culturali e storia. L’ordinamento giuridico internazionale, nonostante le speranze della Grande Serbia e la prostituzione europea, non è crollato né è mai stato messo in discussione. Anzi, si è evoluto e ha bussato alle porte di Belgrado e dei suoi criminali di guerra (almeno i principali) e li ha puniti per quanto possibile per il genocidio e per il loro lavoro di “mantenimento della pace” sulle rovine della Jugoslavia negli anni ’90. Busserá anche alle porte di Putin?

L’unica cosa che sarà messa in discussione da questa aggressione contro l’Ucraina è il futuro della Russia e del suo popolo che, come la Serbia, storicamente non potrà mai uscire dalle fauci di vari tiranni e despoti, né riprendersi demograficamente, culturalmente, economicamente o rinascere politicamente e istituzionalmente.

Sotto la disciplina di Putin, la Russia sta fallendo sia come comunità politica che economica, ma soprattutto come società. Ricerche dimostrano che la Russia ora ha poco più di 100 milioni di abitanti, con una delle popolazioni più demograficamente anziane d’Europa, più povere e con la più breve aspettativa di vita. Con la decisione di Putin di continuare a risolvere con la forza le controversie legali e politiche degli Stati successori dell’Unione Sovietica, la Russia è già stata spinta irreversibilmente verso una dipendenza in ambito di politica estera, tecnologica e di sicurezza dal pragmatismo totalitario cinese da cui la Russia non riuscirà ad uscire integra – senza l’aiuto delle democrazie occidentali e dell’ordine giuridico internazionale tanto odiato da Putin. A causa della sua decisione di risolvere le controversie relative alla successione jugoslava con la forza, di “rivedere la storia” e i confini, di commettere crimini di ingegneria demografica, di riportare le lancette dell’orologio indietro nel tempo e di resettare il diritto internazionale a livello locale, la Serbia ha pagato un prezzo politico ed economico elevato ed è uscita dalla Jugoslavia più piccola di quanto non lo fosse al suo interno, e quello che viene chiamato come popolo serbo al di fuori dei confini della Serbia ha pagato quel prezzo con la propria testa, senza nessun riconoscimento. Ancora oggi, mentre ascoltiamo le menzogne e le ulcere prorompenti di Dodik e Vučić, possiamo solo affermare ancora una volta che i serbi non hanno imparato nulla, né lo faranno, né da Milošević, né da Putin.

Ora dovrebbe essere chiaro al mondo intero quello che è chiaro a molti oppositori russi anti-Putin da piú di due decenni, ovvero che dopo questa aggressione non esiste piú qualcosa chiamato diplomazia russa, economia russa, governo russo, istituzione russa, societá russa, media russi – tutta la Russia è stata ridotta ad una piramide zarista composta da oligarchi e servi di Putin e alle confabulazioni nichiliste e astoriche di un dittatore del tempo.

Questa aggressione è l’ululato di Putin dal proprio bunker, tagliato fuori dalla realtá. Ma invece di intimidire qualcuno, ha smascherato se stesso e il suo regime marcio e ha mostrato quanto in realtá la Russia sia una societá impoverita, un’economia morta e uno stato prigioniero, ridotto ad arsenale militare e nucleare e all’appetito di un regime totalitario orientato a uccidere, picchiare, alla violenza, all’indottrinamento mediatico, che conduce un dialogo politico falso sia all’interno che all’esterno e che minaccia il vicinato e il mondo con la sua forza militare convenzionale e nucleare. Tutta la Russia potrà ora definirsi come comunità politica di oligarchi raccolti attorno a Putin e al suo dito sul pulsante nucleare. L’aggressione di Putin contro l’Ucraina, oltre al proprio, ha smascherato anche il regime di Vučić in Serbia e il regime di Dodik in RS (se c’è ancora qualcosa che non è stato smascherato fino in fondo?). La Serbia non è piú una democrazia parlamentare, il suo substrato sociale è in declino, la sua economia è sovra indebitata e senza speranza, e presto isolata a causa del suo sostegno a Putin – ora non è altro che la comunitá politica di un partito ed emanazione della propaganda di elettori folli, radunati attorno al capo e ai suoi giocattoli militari, il capo che siede non su due, né su quattro, né su una sedia, ma su un tavolo, apparecchiato. Anche quando lascerá quel tavolo, su di esso rimarranno ancora per molto tempo la Serbia servita e il suo popolo folle, tutto e ovunque.

Note

  1. Il nome ‘Shiptari’ venne introdotto in Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale per indicare gli albanesi del Kosovo. Se inizialmente il termina non veniva utilizzato in modo peggiorativo, verso la fine degli anni ‘80, quando scoppiarono le prime rivolte in Kosovo, e soprattutto durante il periodo nazionalista del governo di Slobodan Milosevic, la rottura dello Stato comune e le guerre, il termine “Shiptari” comincia ad essere utilizzato con una connotazione negativa contro gli albanesi del Kosovo per differenziarli dagli albanesi “veri” dell’Albania. 
  2. Anche il termine “turchi” veniva usato nel linguaggio quotidiano dal regime di Milosevic, dai serbi e croati con una connotazione negativa per indicare l’ereditá ottomana dei bosniaci musulmani.
  3. Con il termine “ustascia” si fa riferimento al movimento nazionalista e clerico-fascista croato di estrema destra guidato da Ante Pavelic, alleato dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani nella Seconda guerra mondiale.
  4. Il termine “balija” viene utilizzato nel linguaggio quotidiano (principalmente croato e serbo) in senso dispregiativo per denotare i contadini musulmani o persone di origine musulmana che non appartengono alla popolazione istruita.
  5. Nella lingua serba il termine “milogorci” viene utilizzato a livello quotidiano, ma anche nel linguaggio politico, per parlare della popolazione di etnia montenegrina. Il termine è stato coniato dal nome di Milo Djukanovic, presidente del Montenegro dal 2018.
  6. Dobrica Cosic, primo presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia dal 1992 al 1995 e spesso citato come uno degli ideologi della Grande Serbia e della politica ultranazionalista attuata in seguito da Slobodan Milosevic.