di Adna Čamdžić 

Nel corso della scorsa settimana, le alluvioni non hanno risparmiato i territori della parte occidentale della Bosnia ed Erzegovina.

 

Le forti piogge hanno causato l’innalzamento del livello d’acqua dei fiumi Una, Sana e Klokot che hanno inondato strade e case, lasciando dietro di sé una serie di problemi che rimangono ancora irrisolti dalle alluvioni di nove anni fa. 

 

La protezione civile di Bihać, dove il livello dell’acqua misurato dell’Una ha superato il punto critico, ha invitato i cittadini a prendere misure preventive e spostare i propri beni dagli edifici residenziali e commerciali che rischiavano di essere allagati. Ci si è dovuti rimboccare le maniche per far fronte ai fiumi ingrossati, come ha fatto anche Ipsia Bih.

A causa dell’innalzamento del fiume Sana, nella zona di Sanski Most, le strade sono state chiuse al traffico nelle vicinanze della città. A Bosanska Krupa l’acqua ha allagato gran parte della città e il piano terra di numerose case. I mezzi di soccorso si sono attivati per prestare soccorso in tutte le zone critiche, riporta Al-Jazeera. 

Un’allerta arancione per le forti piogge è stata emessa anche per la parte meridionale della Bosnia ed Erzegovina. Le autorità hanno segnalato possibili allagamenti, interruzioni nella fornitura di elettricità, acqua e comunicazioni e l’attivazione di frane.

 

Una valutazione sistematica dei danni deve ancora essere realizzata, ma secondo una prima indagine, si ritiene che solamente nel cantone di Una-Sana i danni complessivi all’agricoltura e alle infrastrutture siano pari a quattro milioni di euro

 

Il Consiglio dei ministri ha stanziato un milione di KM (marchi convertibili: circa 500.000 euro): 500.000 per la Republika Srpska e 500.000 per la Federazione. Questo significa che Bihać riceverà circa 100-150 mila KM che, secondo il sindaco della città, non saranno sufficienti a coprire i danni che la popolazione ha subito, figurarsi per adottare misure di prevenzione a lungo termine. Ma la questione dei fondi è molto delicata

 

Nove anni fa

La situazione ha riportato immediatamente alla mente le forti alluvioni che colpirono i territori bosniaci nel 2014, quando le piogge causarono danni per un valore di circa 4 miliardi di KM (circa 2 milioni di euro). Ma delle donazioni e degli aiuti raccolti non si è più saputo nulla.

In un articolo uscito per Deutsche Welle, Dragan Maksimovic cerca di fare il punto della situazione, ironizzata fin dal titolo: “Alluvioni in BiH: la metà dei soldi è stata “portata via dalla corrente””.

 

Dopo l’alluvione del 2014, i lavori fatti per arginare i letti del fiume Knežica tra Prijedor e Kozarska Dubica, che sfocia ulteriormente nel fiume Una attraverso i suoi affluenti, non sono stati per nulla sufficienti

“Ogni anno si allaga a valle perché non è stato fatto nulla lungo l’intero corso d’acqua” – testimonia uno dei partecipanti ai lavori di risanamento. Dopo nove anni, si ripresenta lo stesso scenario, a Bihać, Bosanska Krupa, Sanski Most e altri comuni in cui è stato dichiarato lo stato di calamità naturale.

 

Secondo un report dell’USAID, dei quattro miliardi raccolti nel 2014, osservando complessivamente la spesa dei fondi che sono passati attraverso le istituzioni governative, è possibile rintracciare solamente il 55 per cento dei soldi spesi; mentre per il restante 45 per cento non si dispone di dati sufficienti sulla loro distribuzione. 

 

Caccia ai responsabili

Nonostante i fondi raccolti e redistribuiti tra la popolazione, quest’anno si è ripresentato uno scenario analogo. Il mancato coordinamento delle azioni dei governi locali è sicuramente parte della causa

 

Mentre le popolazioni tentano di intervenire con i mezzi che hanno a disposizione e tramite azioni di volontariato sui territori più colpiti, i rappresentanti delle istituzioni per il momento se ne lavano le mani, scaricando le responsabilità gli uni sugli altri, oppure su errori commessi da parte dei cittadini.

 

I cittadini devono semplicemente essere consapevoli che viviamo in un’epoca di cambiamenti climatici… gli edifici più colpiti sono stati per la maggior parte costruiti in zone non protette e si tratta il più delle volte di edifici che si trovano negli avvallamenti dei fiumi”, ha dichiarato il Ministro dell’economia della Republika Srpska, Savo Minić a klix.ba sostenendo che il governo non può intervenire in ogni singola località per evitare gli allagamenti.

Stando alle sue parole, bisognerebbe semplicemente essere più consapevoli dei rischi.

 

Al contempo, anche in Croazia la situazione è degenerata: le alluvioni hanno colpito soprattutto le località di Kozarska Dubica e Kostanica. Non solo, nei territori croati si tratta della sesta alluvione registrata nell’arco di nove mesi. Delle promesse fatte negli anni passati, nessuna traccia.

“Purtroppo, si tratta di una situazione che dovremo affrontare in futuro, non ci saranno meno casi come questi, al contrario ce ne saranno sempre di più. Dobbiamo iniziare ad abituarci al fatto che ci troveremo sempre più di fronte a situazioni che non saremo in grado di prevedere…” ha affermato Davor Božinović, Ministro degli Interni e vicepresidente croato.

 

Insomma, anche dall’altra parte del confine sembrerebbe sia una questione di abitudine. Nel frattempo, ognuno si arrangi come può

 

Una questione regionale

I ministri però non hanno tutti i torti e i loro commenti vanno al cuore della questione, che è duplice: da un lato, il problema è di più ampia portata e riguarda nel complesso tutta la regione dei Balcani occidentali; dall’altra le dimensioni legate all’abusivismo e dell’urbanizzazione non possono essere ignorate. 

 

Per districare le dimensioni essenziali, riprendiamo in mano un articolo uscito due anni fa per OBCT, a sei anni dalle catastrofiche alluvioni in Bosnia ed Erzegovina. 

Secondo l’autore, in linea con molti studi sui cambiamenti climatici, nella regione balcanica la frequenza di fenomeni estremi concentrati in breve tempo è destinata ad aumentare e di tutti i fenomeni distruttivi (quali per esempio i terremoti) le alluvioni rappresentano il rischio più concreto. 

 

L’analisi non si ferma qui: è bene ricordare, infatti, che la Bosnia, come il resto dei territori balcanici, sta scontando gli effetti dell’urbanizzazione selvaggia e dell’abusivismo del dopoguerra, per cui migliaia di persone si sono trasferite in zone non protette ed esposte a rischi naturali. 

 

Oltretutto, con la guerra anche molte opere di difesa (argini, canali, sistemi di controllo delle acque urbane) e sistemi di monitoraggio sono cadute in rovina o sono state distruttePer non parlare delle banche dati, che risentono in modo sostanziale della frammentazione territoriale e dei finanziamenti, che arrivano principalmente da istituzioni internazionali (quali l’Unione Europea oppure l’UNDP – il programma dell’ONU per lo sviluppo) ma che fanno fatica ad essere allocati in maniera efficiente. 

 

Spirito di adattamento

La prevenzione non è ancora tra le priorità né delle amministrazioni locali né delle politiche pubbliche governative. Inoltre, si dovrebbe lavorare maggiormente sulla sensibilizzazione dei cittadini, le cui iniziative a difesa dell’ambiente spesso non sono sufficienti oppure risentono di un tessuto socio-culturale fondato sulla capacità del singolo all’adattamento… che di certo non manca.

 

Le inondazioni non hanno impedito a un abitante di Karlovac di accendere il fuoco per il barbecue: è una notizia che ha fatto il giro dei social.

Nella foto pubblicata da Radio Mrežnica, scattata a Gradac, si può vedere come un uomo con l’acqua fino alle ginocchia si è avvicinato al barbecue per accendere il fuoco. È stato elogiato dagli altri residenti.

 

“Non mollare amico mio”, “Niente mi rovinerà questa giornata”, “Ben fatto! Bisognerebbe trovare qualcosa di positivo in tutto”, “Chi ha volontà, trova il modo”, sono stati alcuni dei commenti.