di Mathieu Porcellana 

Siamo alle soglie del Pride Month e mentre tutta Italia si accinge a celebrare i Pride, partecipati da centinaia di migliaia di persone, ci arrivano notizie sconcertanti.

 

A Padova 33 bambini hanno perso le loro madri per una decisione arbitraria. Certo, perché due donne non possono essere madri.

Dalla Russia invece, per non essere da meno ma anzi per ricordarci che son sempre sul pezzo, ci arrivano notizie di leggi che equiparano le persone queer a malati mentali da guarire in appositi lager ehm… Centri di cura. 

 

Il “che schifo”, come commento, non basta per definire questa situazione. 

 

Ma noi nella nostra città sabauda possiamo forse dirci fuori da queste dinamiche perverse e brutali? Forse sì… O forse no.

 

Premetto che non conosco così bene la situazione in tutto lo stivale per dare un giudizio o far dei paragoni. Premetto che forse non conosco nemmeno così bene la situazione nella mia città, Torino, da poter lanciare anatemi. Posso, però, raccontare quanto è accaduto durante il mese di maggio dove a fare le spese di una pessima offerta di servizi per persone queer è stata una ragazza trans pakistana di 28 anni.

B. è arrivata dal Pakistan circa 4 o 5 anni fa con un signor bagaglio fatto di violenze di ogni genere. Inoltre, ha dovuto interrompere la terapia ormonale e tornare a indossare abiti maschili per non incappare in violenza durante il viaggio. Speranza vana, ahimè. Al suo arrivo è finita in vari progetti e altrettanti casini. 

 

Quando sembrava che tutto andasse bene B. è andata a lavorare fuori Torino per un’anno per poi ritornarci, finendo nuovamente nelle grinfie di altri sfruttatori. 

 

Schiavismo lavorativo, violenze sessuali e tanto altro ancora. Questo era quello che B. mi stava portando quando ci siamo rincontrati. 

 

Non avendo lei una casa e io il tempo di pensare così, su due piedi, che fare, le ho pagato una stanza di albergo dopodiché si è iniziato a segnalare la sua situazione

 

Premetto che il poco che si è ottenuto lo si è avuto attraverso conoscenze, quindi va da sé che qualsiasi altra persona senza queste conoscenze sarebbe ancora lì ad aspettare. 

 

Ciò che è riprovevole è soprattutto sentirsi dire dai servizi che la persona in questione è troppo incasinata o troppo poco.

 

I servizi per persone migranti sono tarati per migranti cis gender, e i servizi per le violenze sulle donne non lavorano con le persone trans e similari.

Ne si evince che se si è persone trans in difficoltà o ci si appoggia a una rete significativa ma personale o si è lasciati a sé stessi

 

Non so se viene prima la frustrazione degli operatori o l’incapacità dei servizi, è chiaro però che se qui in Italia, Paese membro dell’Unione Europea, non si sia in grado di provvedere a tutti, soprattutto se si presentano determinate specificità.

Non solo in mare e sui confini, ma anche nelle stesse città. Persone che hanno la sola sfortuna di avere un’identità troppo “stratificata” per ricevere assistenza. Ciò può solo significare che stiamo vivendo in tempi davvero miseri.