di Alba Mercolella 

Nel 2023 sono sbarcate, sulle coste italiane, più di 100mila persone. Numeri che non si registravano dal 2017. Una delle grandi novità è che le partenze avvengono perlopiù dalla Tunisia. Ne ho parlato con un mio ex compagno di Università, che quest’estate ha deciso di partire con la ONG tedesca Zusammenland imbarcandosi sulla Mare*Go, alla sua terza missione.

 

Ho conosciuto Daniele Gallina, venticinquenne di Villanova Mondovì neolaureato in “China and Global Studies”, verso la fine degli anni dell’Università. Quando ho saputo che sarebbe partito per salire su una nave dedicata al salvataggio delle persone che cercano di passare il mare, ho pensato che sarebbe stato interessante sentire un racconto di prima mano da parte di chi è stato là. Noi lo abbiamo sempre sostenuto: è importante partire, così come è importante raccontare al ritorno. Le foto presenti sono state scattate e gentilmente concesse da Daniele.

Ciao Daniele. Ci racconti la tua esperienza nel Mediterraneo? Come ci sei arrivato? Di cosa ti sei occupato?   

Sono stato nel Mediterraneo, principalmente tra Lampedusa e la Tunisia, dal 10 al 23 luglio, includendo formazione e missione, a bordo della Mare*Go della ONG tedesca Zusammenland. Classe 1917, confiscata dai nazisti nel 1941 e niente di meno che la prima Sea Watch. Questo è il primo anno che la nave viaggia come Mare*Go e io ho partecipato al terzo viaggio da quando è operativa.

Sono una persona che non riesce a stare ferma per molto tempo: questa estate ero libero e, grazie ad un’amica, mi sono offerto volontario come logista di supporto alla nave “SeaWatch-Aurora” stanziata al porto di Marsa-Malta. Qui ho avuto il privilegio di imparare sempre di più sulle condizioni del nostro bel Mediterraneo, conoscendo svariate associazioni ed attivisti che dedicano le loro vite giorno e notte alla tutela dei diritti umani. 

A Malta ho conosciuto Raphael Reschke e Marie Becker, proprietari e responsabili della nave e riferimento di Zusammenland. Questa ONG si basa esclusivamente sul lavoro volontario e ciò rende più “snella” la sua gestione: si parte quando si può partire, con la priorità di salvare vite in mare.

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Al momento l’operatività della nave è garantita fino al mese di ottobre, dipenderà dalla possibilità di fare manutenzione, e non è poca quella necessaria per viaggiare regolarmente, considerato che la Mare*Go ha più di un secolo. Va aggiunto che, di prassi, la massima presenza delle navi in mare comincia in primavera, ossia quando non operano soltanto le navi capaci di caricare un gran numero di persone ma anche quelle più piccole che si contraddistinguono per agilità.

Il 10 ho iniziato ad essere operativo al porto di Licata, in Sicilia, dove la barca ha il suo ormeggio. Nei giorni successivi, trascorsi sulla nave, devo dire che il tempo è stato clemente. C’è stato un solo giorno di mare mosso.

Per le operazioni ci si danno degli orari di operatività perché, ovviamente, qualcuno deve essere sempre al timone e va considerato che da Licata alla zona SAR ci vogliono 24 ore di navigazione. Ogni missione ha un proprio “head of mission”, ossia una persona selezionata come responsabile della buona riuscita delle operazioni.

 

Tra il secondo e il terzo giorno di missione ci siamo recati a Trapani, assegnato come porto di destinazione, a seguito di un’operazione durata 12 ore. Le operazioni sono lunghe perché occorre che arrivino i mezzi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. A bordo della Mare*Go, quel giorno, avevamo 57 persone, per una capienza massima di 110 persone calcolata sulla base della distanza dal porto e di poter tenere i passeggeri in sicurezza.

 

Tenere il conto di chi si sta imbarcando, poi, non è per niente semplice. Abbiamo fatto esercitazioni e sapevamo che avremmo trovato persone nella zona SAR maltese vicino alla Tunisia.

Quando ci si avvicina all’imbarcazione per caricare le persone è importantissimo renderla stabile, ma non è affatto semplice dal momento che nell’ultimo periodo dalla Tunisia arrivano quasi solo navi di metallo, prodotte e trasportate dall’Egitto.

Sono ben costruite ma si ribaltano facilmente se molto cariche, anche se sono meglio dei gommoni che si vedono spesso arrivare dalla Libia perché si bucano come niente. Dalla Tunisia, almeno durante questa estate (vedremo come si evolverà), partono barchini meno carichi rispetto a quelli che partono dalla Libia: si parla di, in media, 60 passeggeri contro i 400 che arrivano dalla Libia.

Giuseppe Conte Covid
Fonte: https://sarcontacts.info/srrs/tr_med/ 

 

Chi parte dalla Libia fa un giro un po’ diverso cercando di puntare dritto verso la zona SAR maltese, dove sanno che verranno recuperati. Invece, tra la zona SAR italiana e quella maltese le autorità di Malta non agiscono. Per orientarsi, gli scafisti lasciano alle persone a bordo dei GPS tipo il Garmin: chiaramente inadeguati per orientarsi nel Mediterraneo.

Quel che può sorprendere è che se i migranti arrivano nella zona SAR maltese le autorità escono per intervenire anche se non è di loro competenza. Il punto è che a prescindere dall’area di competenza le persone muoiono e le autorità, quindi, escono quando sono certe che le condizioni sono seriamente critiche e ci sono persone in serio pericolo di vita.

Ogni caso resta comunque sia unico, per quanto possano esserci dei tratti comuni: le imbarcazioni sono tutte malmesse e più o meno sovraccariche. Una cosa che accade sempre al momento dello sbarco è la ricerca di un capro espiatorio da parte delle autorità italiane, ossia lo scafista, che seguendo la pura logica non sarà presente sulla scatola di metallo in viaggio nel Mediterraneo centrale.

Bialowieza Vittorio Zampinetti
A proposito, una delle prime cose che dovevamo fare nella fase di trasbordo delle persone, una volta messe in sicurezza, è chiedere proprio questo: se tra loro qualcuno ha guidato il mezzo. Se tu volontario, che sei “dalla loro parte”, poni questa domanda la risposta che arriva non è né semplice né univoca: può capitare che si indichino fra loro o che nessuno risponda. Questo dipende anche dall’etnia di chi c’è a bordo ed è perciò fondamentale capire, nel più breve tempo possibile, la provenienza delle persone a bordo.

Una volta è capitato che la maggior parte delle persone provenissero dalla Somalia e ci fossero due sudanesi, che erano effettivamente alla guida: l’intero gruppo non ha avuto nessuna remora e li ha indicati immediatamente.

In base alla propria personale predisposizione, oltre che a quella della persona a cui ci si sta rivolgendo, si può andare più a fondo nelle domande: ci può essere chi ha un estremo bisogno di parlare, chi è stremato e non riesce, chi non vuole dire nulla.

L’unica cosa sicura che il volontario può dire è che andranno in Europa, non in Italia perché magari finiscono a Malta. In questa fase è necessario capire se stanno arrivando da questa parte del mondo con false aspettative oppure no. Per questo erano molto utili le video pillole di Captain Support, disponibili anche su YouTube. Insomma occorre far capire che lì, in quel momento, verranno salvati, ma anche smontare l’idea che l’Europa e l’Italia siano il paradiso. Molte delle persone che arrivano non immaginano la situazione che effettivamente c’è in mare: barche stracolme, barchini rovesciati e diverse criticità

Il Mediterraneo è davvero un cimitero di barche vuote, corpi andati a fondo e spazzatura, come le gomme delle macchine utilizzate da ciambella di salvataggio. Le barche vuote possono voler dire due cose: o i naufraghi sono stati salvati, o sono andati a picco. Chi si imbarca sa solo che troverà fortuna all’arrivo, anche se non è così.

Alle situazioni più tese ci si prepara molto bene. Si valuta poi ognuno per sé cosa ci si sente di vedere e di vivere: quando non ce la si sente ci si mette da parte per non ostacolare i soccorsi. Poi ci sono le cose assolutamente da non fare, ad esempio non si soccorre chi si butta dai barchini perché se lo fa è perché sa nuotare e perciò si fa cenno di venire verso di noi e, in quel tempo, si salvano gli altri.

Bialowieza Vittorio Zampinetti
Ci si trova ad operare in condizioni insidiose. Mi è capitato di fasciare un piede a distanza stando sulla Mare*Go, mentre la persona ferita era ancora sull’imbarcazione con cui era partito.

 

Come è attrezzata la Mare*Go per i salvataggi? Puoi raccontarci più nel dettaglio le operazioni?

La Mare*Go è dotata di due scialuppe a motore utili per le operazioni: un RIB da 20 nodi capace di imbarcare massimo 20 persone che si chiama “Leave No One Behind” (LNOB), e la Green adeguata ad operazioni di lungo raggio molto utile considerato l’aumento degli arrivi.

Va detto che, considerato l’aumento degli arrivi dalla Tunisia, il tratto di mare che viene fatto è più breve: si tende più a scortare le imbarcazioni che a caricare a bordo le persone.

 

La LNOB viene utilizzata per chiedere alle persone a bordo di non lasciare il mezzo, poi scortato con la Mare*Go posizionata davanti e la LNOB dietro. Sulla Green si sale in due e sulla LNOB in tre, cercando di garantire sempre il supporto medico anche se talvolta non è possibile: non ha senso utilizzare le scialuppe, anche se si possono fare delle ottime operazioni, se non arrivano i soccorsi.

Quando ero a bordo la Green non è mai stata utilizzata e non sono stati fatti approcci a lungo raggio: in quei giorni si faceva solo in tempo a caricare le persone e a portarle nel porto assegnato e ci vogliono 30 ore per fare tutto ciò.

Le operazioni sono precedute dalla comunicazione della presenza di un’imbarcazione in difficoltà. Ci si aggancia al Canale 16 della Radio ad alta frequenza VHF, quello di emergenza per il Mediterraneo. Da lì si sente chiunque e bisogna cercare di cogliere le informazioni utili per scrivere la comunicazione nautica, con latitudine e longitudine. Qui la conoscenza della lingua italiana può essere fondamentale.

Considerate queste tempistiche e i miei giorni di permanenza sulla Mare*Go, ho partecipato a due operazioni. Nella prima abbiamo soccorso 227 persone caricandone 42, mentre nella seconda 430, di cui 57 a bordo

Le comunicazioni possono però non arrivare, ed è a quel punto che si fanno gli approcci lunghi, cercando di tracciare sulla mappa la rotta più ragionevole in base a quante persone si riescono a salvare, passando da tutti, senza però allungare troppo il viaggio. Da lì ci si coordina con altre realtà, ad esempio con chi sorvola il mare in modo da ricevere una guida.

 

Questa estate ha visto un significativo aumento degli arrivi rispetto agli ultimi anni e questo emerge anche da quanto ci hai detto fino adesso. Come “convivono” la Rotta libica e quella tunisina?

L’aumento del flusso migratorio dalla Tunisia è cosa nota, ne si parla su tutti i media e sì, da lì arriva una quantità di gente che anche a vederla fa spavento

 

Nella zona SAR tunisina è molto più sicuro operare perché comunque sia lì c’è un Governo, per quanto quelli della Guardia Costiera non siano angeli. Nella zona SAR libica la sedicente Guardia Costiera spara non solo alle persone che partono ma anche a chi sta operando o alle navi, per far prendere acqua.

Se dalla Libia arrivano stremati da anni di permanenza laggiù, nelle condizioni detentive orribili di cui si parla da anni, chi arriva dalla Tunisia è in condizioni migliori. Una volta delle persone che avevamo appena salvato si sono messe a organizzare la cena. Come ho detto prima il numero di persone era imponente e la situazione è sempre stata tesa: tutte le imbarcazioni recuperate durante le operazioni portavano a bordo più del doppio della capienza massima. La scelta della rotta dipende anche dalla gravità delle condizioni delle persone presenti a bordo, come il pericolo di vita e la presenza di donne incinte, ma non si sa mai di sicuro quali sono le condizioni di chi si incontrerà finché non si arriva.

Bialowieza Vittorio Zampinetti

A volte alcuni dei naufraghi sono anche in grado di dare una mano, altre volte no. Altre ancora si trovano persone pericolose con cui è meglio non avere a che fare.

 

Spesso sulla scena compaiono alcuni “pescherecci”, perlopiù tunisini, intenti a raccogliere i motori delle imbarcazioni con la gente per poterli rivendere, senza sempre interessarsi che le persone siano state tratte in salvo o meno: dopo aver tratto in salvo le persone è sempre meglio far affondare l’imbarcazione, in modo da non alimentare il mercato degli scafisti.

 

Quando si torna a casa, dopo esperienze simili, si può avere la sensazione che molti non riescano a capire la gravità della situazione, sia per i diritti umani violati che per la miopia dei Paesi europei riguardo la gestione del fenomeno migratorio, delegata al volontariato e alle ONG.

Sul tema degli sbarchi e del fenomeno migratorio c’è mancanza di comunicazione, ne sono convinto. Manca la consapevolezza che, se non ci fosse chi va a salvare vite in mare, le persone morirebbero nel Mediterraneo: non è un “viaggetto”, per cui ti imbarchi e arrivi.

Le ONG sono presenti proprio dove la Guardia Costiera è assente e agiscono al suo posto. Se la Guardia Costiera maltese aiutasse nella propria SAR, le navi delle ONG non servirebbero e, proprio sapendo che quella SAR è toccata da ogni rotta, non agisce.

Va detto e ammesso che Malta, che è uno Stato piccolo, non è assolutamente capace di farsi carico della mole umana che cerca di raggiungere l’Europa. E quindi, sceglie di non agire.

Un punto importante è che venendo a mancare operazioni come “Mare Nostrum”, che fino al 2014 aveva l’obiettivo di salvare i migranti diretti verso Malta o l’Italia, non c’è più una situazione organizzata. Il Governo, così, ha meno problemi ma vige una situazione di sostanziale anarchia. Ovvio che alla fine la Guardia Costiera salva le persone, ma manca il vincolo di doverlo fare.

E poi, una volta che sei lì non puoi fare a meno di vedere i comportamenti delle diverse Guardie Costiere. Quella libica, che di certo non rappresenta uno Stato, fa tutto il contrario di quello che dovrebbe e li riporta nei lager, cosa che perlomeno quella tunisina non fa. Nella zona SAR libica, la Guardia Costiera spara non solo verso le imbarcazioni di fortuna dei migranti per farle affondare: spara anche verso di te che stai cercando di salvarli. Dove non ci sono regole si fa quello che si vuole, e non bisogna dimenticare mai che è grazie al Memorandum Italia-Libia che la sedicente Guardia Costiera libica possiede e utilizza delle ottime navi che noi le abbiamo fornito, ed è cosciente che la rotta passa dalla SAR maltese.

Bialowieza Vittorio Zampinetti

Si può giudicare come disumana la Guardia Costiera maltese? Secondo me no, perché come ho detto prima non può sopportare la gestione degli sbarchi. Il punto è a che livello ciò viene affrontato.

Che i singoli Stati si prendano ognuno per sé la responsabilità della gestione degli sbarchi non è né giusto né corretto, perché il fenomeno migratorio riguarda l’Unione europea tutta e alcuni dei suoi cittadini ne sono consapevoli.

 

Se ci si domanda come mai il Mediterraneo è pieno di ONG e volontari tedeschi, la risposta è proprio qua: le persone solidali tedesche sanno che il fenomeno migratorio li riguarda direttamente. E infatti, una delle mete predilette è proprio la Germania.

 

Sarebbe davvero necessario un sistema di sicurezza europeo che sia tutto il contrario di Frontex, che utilizza le sue risorse per acquistare droni e sorvolare tutte le frontiere esterne dell’Unione Europea non di certo allo scopo di salvare le persone. Certo, Frontex non nasce per gestire il fenomeno migratorio ma per il controllo dei confini dell’UE. Se così fosse, andrebbe a soccorrere chi cerca di passare le frontiere esterne.

Ecco perché tutta la questione è riconducibile a quanto sia insufficiente, oggi, il livello di integrazione europea in cui manca un sistema di sicurezza che sia davvero comunitario, dal momento che ricade tutto sui singoli Stati.

Gli Stati sono lontani, non vedono la tragedia umana. Già Roma, da cui parte il coordinamento e la gestione della Guardia Costiera, è troppo lontana per avere la percezione della situazione. Gli Stati non sono nemmeno d’accordo tra loro, infatti alcuni destinano risorse e altri no, ma mancando un’organizzazione a livello Europeo le risorse che ci sono finiscono sprecate. Non siamo in emergenza e l’immigrazione è un fenomeno che non si vuol vedere e che tra cambiamento climatico, guerre e tensioni politico-sociali è destinato a ingigantirsi. Per l’Unione Europea, che è di per sé un progetto di lungo periodo, non cogliere tutto questo significa non prendersi carico della questione, soprattutto a livello umano.

Se l’assistenza e l’accoglienza fossero integrati a livello europeo le cose potrebbero funzionare meglio e sarebbe un bene per tutta l’UE, in pieno declino demografico e con una grande necessità di manodopera.

Mancano proprio le basi in quanto se non si salva, la gente muore, se non sai gestire chi riesce ad arrivare non c’è integrazione e le persone finiscono ai margini della società e saranno disposte a tutto pur di sopravvivere. Sopravvissuti al mare, si è capaci di tutto pur di garantirsi una vita.

Ci si accontenta di tappare i buchi sperando che gli sbarchi finiscano, senza che ci sia nemmeno un sistema di salvataggio in mare. A proposito di tappare buchi, è un po’ come quando si sceglie di non rifare una strada ma di riempire le buche col catrame e ci si ritrova a spendere di più, con una strada arrangiata che poteva essere nuova. Le strade sono infrastrutture di base e se mancano o si aggiustano e basta, non danno garanzia di sicurezza; se non sono collegate tra loro, non possono apportare miglioramenti. Così gli Stati dell’UE, bene o male quasi tutti democratici ma non integrati a livello continentale. Se mancano le garanzie sociali che una democrazia dovrebbe garantire, non si è di certo in grado di salvare le persone.

Ecco che qui intervengono le ONG, che colmano questo vuoto ma che per ovvie ragioni non potranno mai essere in grado di fare quello che potrebbe un’entità come l’Unione Europea, se davvero volesse prendersi carico del fenomeno migratorio.

Forse, chissà, se lo facesse potrebbe arrivare ciò che molte persone che hanno tirato su associazioni e organizzazioni per assistere e salvare vite sognano: smettere, che nasca un sistema che salvi e integri, in modo da non dover più andare in mare di persona.

Per concludere, ti propongo una riflessione. All’inizio hai detto che, appena hai avuto del tempo libero, sei andato nel Mediterraneo per dare una mano e vedere in prima persona cosa stava succedendo. Entrambi sentiamo l’urgenza di raccontare e far capire che la questione è di grande importanza e riguarda tutti. Perché la questione non è così sentita, pur essendo vicinissima a noi? C’entra l’invisibilità delle persone che attraversano le frontiere?

C’è un collegamento con la lontananza delle istituzioni. Anche Lampedusa stessa, dove ogni estate tanti turisti passano le vacanze, è in qualche modo lontana. E la maggior parte dello spazio è occupata dai turisti, mentre è minima l’area dell’isola occupata dall’hotspot e in cui le persone salvate vengono sbarcate. Se uno non ha idea di quello che sta succedendo, potrebbe pensare che Lampedusa sia un grande hub commerciale.

Come ci siamo detti, questo accade anche a Torino: è a soli 90 km da Oulx, un altro luogo che quest’estate ha visto un forte aumento dei passaggi delle persone migranti.

Molto probabilmente, questo accade perché i media raccontano “l’evento sbarco” senza dare un contesto e facendo percepire i numeri della tragedia come dei dati freddi, senza significato.

Bialowieza Vittorio Zampinetti
Alcuni media hanno additato per anni gli immigrati incolpandoli di rubare le case, le donne e il lavoro agli italiani. Tutta la storia umana sembra basarsi sulla ricerca dei capri espiatori ed è sempre finita male: perché non riusciamo a capirlo? Perché non riusciamo a rispettare i valori che l’Unione Europea stessa si è data?

Eppure, è tutto così tremendamente logico. Trarre in salvo le persone è giusto, permettere ad ognuno di stabilirsi dove meglio pensa di stare anche. Questo andrebbe incontro anche alle necessità del Vecchio (davvero vecchio) Continente che dicevamo prima: persone giovani e manodopera. Ecco perché salvataggi e integrazione non solo sono giusti, ma sono anche necessari. Nonostante questo, si dà la colpa di ogni tragedia del nostro Paese agli immigrati.

Questo capro espiatorio può basarsi sul colore della pelle. Lo dimostra anche l’accoglienza degli ucraini in Europa, soprattutto in Polonia, e il senso di urgenza e paura sorti con lo scoppio della guerra in Ucraina.

Fa più paura pensare all’Ucraina invasa dalla Russia, che magari si espande in Unione Europea, rispetto a Stati o sedicenti tali che si affacciano sul Mediterraneo e violano ripetutamente i diritti umani, nonostante siano più vicini.

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Foto di Vittorio Zampinetti

Quindi sì, la questione stessa diventa invisibile e se un giovane ha un momento libero difficilmente lo trascorrerà su una nave delle ONG. Secondo me si parte già scoraggiati, c’è una mancanza di iniziativa anche quando si vorrebbe agire e sentiamo che la questione ci riguarda.

Questo si lega a quello che si diceva prima: non c’è una presa di coscienza della questione né da parte degli Stati, né da parte dell’Unione Europea. Ogni questione che riguarda i diritti e la società appare delegata al singolo e qui c’entra lo Stato, che dovrebbe trascendere le generazioni e ricordare perché è necessario credere nei diritti umani e difenderli. Questo atteggiamento rende i sogni corti.

Mi considero europeista, però occorre che l’Unione Europea, dopo aver integrato il suo mercato, si prenda anche delle responsabilità. Nonostante tutto bisogna sempre ricordare che non è in Europa, per citare un recente fatto, che le persone vengono condannate a morte per detenzione di droga. Il rispetto per la vita umana è previsto dalle regole che l’UE stessa si è data ed è sentito dai cittadini molto più che altrove.

Non si può continuare ad ignorare quello che accade nel Mediterraneo ed è lo stesso cittadino europeo che deve interrogarsi e chiedersi “Come posso cambiare tutto questo?”

Detto ciò, non bisogna dimenticare che ognuno di noi vive nella propria bolla: persone come me e te possono anche interrogarsi su questo e cercare di comunicare con chi a queste questioni non pensa, o che magari ci pensa ma non riesce ad avere informazioni. Anche la persona che sente solo propaganda anti-migranti alla fine, in linea di massima se ci si prova a ragionare, arriva alla conclusione che nessuno dovrebbe morire annegato nel tentativo di rendere la propria vita migliore.

Non possiamo essere definiti degli “estremisti” perché crediamo che ognuno ha il diritto di vivere in sicurezza e di attraversare il Mediterraneo e le frontiere, se lo reputa necessario.

Sicuramente dobbiamo riconoscere il nostro privilegio di aver avuto, riguardo questi temi, l’opportunità di studiare e avere gli strumenti per comprendere certe tematiche. Riconoscerlo vuol dire cercare di parlare con tutti, di far capire come la questione coinvolga tutti e che ci possiamo salvare, sia dal mare che dall’incertezza, tutti insieme.

Sono convinto che sia importante lavorare su questo per avvicinare le persone al tema e far comprendere quanto sia fondamentale difendere i diritti di ogni essere umano.

Di seguito, alcune note di Daniele in aggiunta all’intervista.

In conclusione, ci terrei a ringraziare profondamente Alba per questa occasione. In poche righe abbiamo cercato di condividere con il pubblico un’esperienza in prima linea, cercando di narrare il dramma che continua ad avvenire quotidianamente nel Mediterraneo.

Ci tengo a rimarcare come chiunque possa prendere parte a missioni del genere, o supportare in altri modi dedicando parte del suo tempo, della sua expertise e delle sue capacità. Sono una persona come tante altre a cui piace viaggiare, conoscere gente e godersi un buon aperitivo, non uno dei tanti eroi e professionisti del settore che dedicano la loro intera esistenza a salvare vite umane in prima linea.

 Un giorno ho pensato di donare parte del mio tempo libero, che avrei potuto spendere presso mari o monti vicino a casa, ad una causa che ha bisogno di noi. Mi sono per un istante sentito impotente e parte di un problema che necessita società attive ed informate per poter essere risolto, ma purtroppo ci rendiamo conto che questa società civile portatrice di cambiamento non è qualcuno di estraneo, ma siamo noi che accantoniamo i nostri timori e le nostre paure e ci mettiamo in gioco, anche solo un minuto al giorno. 

Sono certo che molti di coloro che leggeranno abbiano uno spirito forte e volenteroso in grado di aiutare chi ne ha bisogno, ma non sanno dove cercare. 

Dunque mi rendo disponibile ad essere contattato via Instagram per eventualmente connettervi con le associazioni operanti nel settore, non esitate a porre qualsiasi domanda che vi passi per la testa sono lieto di potervi aiutare.

 

Daniele Gallina (IG: daniele.gallina98)