di Adna Čamdžić 

La premier italiana, Giorgia Meloni, è tornata nelle scorse settimane a far visita all’autocrate tunisino Kaïs Saïed, insieme ai ministri Piantedosi, Bernini e Cirielli, in nome del “reciproco interesse” delle due nazioni e dello sviluppo di una cooperazione alla pari.

L’incontro, avvenuto il 17 aprile scorso, è stato descritto dalla premier come “un tassello del lavoro che l’Italia sta portando avanti con il Piano Mattei per costruire con le nazioni del continente africano una cooperazione su base paritaria”. Ricordiamo che il “Piano Mattei per l’Africa”, annunciato alla Camera dei deputati il 25 ottobre 2022, nasce con l’idea di creare un modello virtuoso di collaborazione con i Paesi africani per eliminare alla radice le cause dell’immigrazione.

Riproposto poi ufficialmente lo scorso 29 gennaio 2024 al Summit Italia-Africa di Roma, il piano recupera simbolicamente la figura di Enrico Mattei, fondatore dell’ENI (Ente nazionale idrocarburi), rivendicando quindi una certa continuità con la politica di collaborazione con i Paesi africani e mediorientali sviluppata da Mattei in campo energetico.

 

Il riferimento a Mattei

Il riferimento a Mattei ci riporta indietro all’epoca del dopoguerra, quando l’Italia era a caccia di nuove risorse energetiche per ristrutturare la propria economia e industria e l’Eni puntava gli occhi sul petrolio. 

Negli anni Cinquanta, nel contesto internazionale, il settore degli idrocarburi era dominato dalle cosiddette “Sette Sorelle”, ovvero le principali compagnie petrolifere (Exxon, Mobil, Texaco, Standard Oil California, Gulf Oil, Royal Dutch Shel, British Petroleum) – cinque americane, una anglo-olandese e una inglese.

La prospettiva di un inserimento dell’ENI all’interno di questo mercato risultava, quindi, problematica, se non altro perché le Sette Sorelle controllavano più del 90% delle riserve petrolifere mondiali, il 90% della produzione e il 75% della raffinazione del greggio. Trovandosi di fronte a un muro, Mattei si rivolse direttamente ai Paesi produttori, ottenendo la firma di importanti accordi in Nord Africa e in Medio Oriente.

Il riferimento a Enrico Mattei serve alla premier soprattutto per enfatizzare la ricerca di un modello di “collaborazione paritaria”.

All’epoca dell’Eni significò l’elaborazione di una formula 75/25 per cui il Paese produttore manteneva il 75% dei profitti, contrariamente alla formula 50/50 delle “Sette sorelle” che, secondo Mattei, trattenevano una quota troppo alta di profitti.

Questo modello permise all’ente italiano di ritagliarsi una fetta sostanziale di mercato nel settore degli idrocarburi, rompendo il monopolio delle aziende britanniche e americane, mentre ai paesi del “mondo arabo” veniva assicurata la possibilità di disporre delle proprie risorse attraverso un accordo vantaggioso per entrambi.

Oltre agli accordi con l’Iran, fu significativa la firma di accordi con l’Egitto e con l’Algeria, dove l’Eni sostenne la formazione dei dirigenti del Front de Libération Nationale (FLN) algerino presso la Scuola di studi superiori sugli idrocarburi a San Donato Milanese (in un’epoca in cui l’Algeria ricercava la propria indipendenza dalla Francia coloniale). Motivo per cui Mattei, oltre ad essere conosciuto per la sua estrema sensibilità terzomondista, viene anche ricordato per il suo sostegno all’emancipazione dei popoli sotto il dominio coloniale.

 

Tunisia: il banco di prova

Recuperare in modo simbolico la comunicazione della figura di Enrico Mattei, significa per la premier Meloni rivendicare una certa continuità con la politica di cooperazione dell’Eni incentrata sulla costruzione di relazioni paritarie, ma anche riposizionare l’Italia all’avanguardia dello scacchiere europeo nei rapporti con i Paesi africani per la lotta all’immigrazione illegale.

Secondo l’Istituto di Affari Internazionali, il piano prevede l’allocazione di 5.5 miliardi di euro a paesi africani quali: Tunisia, Marocco, Egitto, Etiopia, Costa d’Avorio, Kenya, Algeria, Mozambico, e Repubblica Democratica del Congo.

L’approccio si basa, inoltre, sullo sblocco di finanziamenti europei nei settori dell’istruzione, formazione, agricoltura, salute ed energia per avere in cambio un contenimento dei flussi migratori. Banco di prova: la Tunisia, apripista per lo sviluppo del “Piano Mattei per l’Africa”.

Non a caso, la visita della premier al presidente Saïed del 17 aprile scorso si è tenuta subito dopo la firma di una serie di intese tra Unione Europea e Tunisia, che prevedono rispettivamente l’allocazione di 50 milioni di euro per il settore delle energie rinnovabili e dell’efficientamento energetico e 55 milioni di euro a supporto delle piccole e medie imprese tunisine e del settore accademico.

Gli investimenti dovrebbero sostenere le istituzioni algerine e, di conseguenza, frenare gli arrivi sulle coste italiane.

Fonte immagine: geopolitica.info 

 

Il settore energetico 

Il settore energetico è il punto nevralgico del piano e alcuni passi sono già stati fatti in quella direzione.

Italia e Tunisia dovrebbero essere interconnesse entro il 2025 attraverso l’elettrodotto sottomarino “Elmed”, che aprirà la strada all’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili.

Oltre alle promesse, sono arrivate anche le critiche. Alcune associazioni ambientaliste, quali Greenpeace hanno scritto una lettera aperta alla premier, denunciando l’approccio “neocoloniale” del piano Mattei che, con la scusa delle rinnovabili, punterebbe in realtà, a trasformare l’Italia in un hub energetico del gas attraverso la cooperazione con i Paesi africani.

Molti dubbi rimangono ancora da sciogliere e resta il rischio, come sostenuto dall’analista di politica estera di Ecco, Lorena Stella Martini, che queste iniziative rimangano slegate e singole, e che manchi un quadro strategico in grado di orientare una nuova fase di relazioni tra i Paesi Africani, l’Italia e l’Europa”. 

“Riemerge l’ambizione di fare dell’Italia un “hub energetico” tra Europa e Africa. Anche questo rimane però al momento un concetto ambiguo: ci si riferisce a fonti rinnovabili, a fonti fossili, o a entrambe? E con quali obiettivi?” si chiede Martini.

Un ruolo fondamentale verrà giocato proprio dalle imprese partecipate dallo Stato italiano, che avranno un ruolo centrale per la messa a terra degli investimenti, incluse Eni, Enel, Fincantieri, Terna. Eni che, ricordiamo, gestisce il gasdotto Transmed – per il trasporto del gas algerino fino in Italia – e che sta trasformando il Mozambico nell’ “ultima grande frontiera estrattiva del continente africano”, come dimostrato da un recente articolo di Alessandro Runci.

Questo approccio molto lontano dall’auspicato coinvolgimento “paritario” dei Paesi africani, tanto che sono arrivate critiche anche da parte di rappresentanti di organizzazioni africane che denunciano l’assenza di voci locali nella formulazione del piano di azione: 

“un’opportunità mancata, ma anche sintomo della continuazione di modelli storici in cui le decisioni che incidono sull’Africa vengono prese senza l’Africa. Questa non è solo una svista; è un rafforzamento delle diseguaglianze che collettivamente abbiamo il potere – e la responsabilità – di correggere”, si legge in una lettera pubblicata dopo il Summit Italia-Africa dell’ottobre scorso.

 

Canali di accesso sicuri?

In tutto questo non è chiaro come avverrà la costruzione di canali di accesso legali e verrebbe da chiedersi se non si tratti della costituzione di un ulteriore “hotspot” di filtro agli accessi verso l’Europa sul modello albanese.

A questo dubbio, il Presidente tunisino ha prontamente risposto reiterando il fatto che la Tunisia non diventerà “un’area di destinazione o di transito per migranti irregolari”.

Sembrerebbe, quindi, che sul piano della gestione degli sbarchi, non si siano fatti molti passi in avanti dopo il memorandum firmato il 23 ottobre 2023 a Tunisi, che prevede l’assegnazione di 12 mila permessi di soggiorno non stagionali per lavoratori tunisini in Italia.

Nel mentre, circa 200.000 persone vivono in condizioni precarie nelle aree costiere tunisine, tra cui le città di El Amra e Jebeniana, in attesa di attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa.

La scorsa estate l’Italia ha dovuto gestire flussi in aumento dalle coste tunisine e, dopo un calo significativo negli ultimi mesi, le partenze sembra che siano tornate a crescere.

Solamente la prima settimana di aprile ha segnato un record di sbarchi che, secondo un articolo di Avvenire, sarebbero più del doppio rispetto al 2023 – con quasi la totalità delle imbarcazioni arrivate proprio dalla Tunisia. 

Quali saranno i prossimi passi portati avanti in nome del “reciproco interesse”?

 

Immagine di copertina: geopolitica.info 

Fonti:

“Visita in Tunisia, le dichiarazioni alla stampa del Presidente Meloni” https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=9l4Ickq6Qew&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fphastidio.net%2F&source_ve_path=MjM4NTE&feature=emb_title

“Enrico Mattei e l’Algeria: durante la Guerra di Liberazione Nazionale”: https://baldi.diplomacy.edu/diplo/texts/cantini_Mattei_IT.pdf

Migrants wait in Tunisia for chance to reach Europe
https://www.voaafrica.com/a/migrants-wait-in-tunisia-for-chance-to-reach-europe/7588519.html

L’inchiesta. Memorandum Ue-Tunisia, sei mesi pieni di ombre:
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/memorandum-ue-tunisia-sei-mesi-pieni-di-ombre

Ecco come le grandi partecipate traineranno il piano Mattei.
https://formiche.net/2024/01/africa-piano-mattei-meloni-partecipate-investimenti/#content

Il Piano Mattei puzza di gas: le nostre richieste al Governo Meloni per un piano energetico utile al Paese
https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/20819/il-piano-mattei-puzza-di-gas-le-nostre-richieste-al-governo-meloni-per-un-piano-energetico-utile-al-paese/

Il vero volto del “Piano Mattei” per l’Africa
https://altreconomia.it/il-vero-volto-del-piano-mattei-per-lafrica/

Italy-Africa Summit Africa CSO Letter
https://dont-gas-africa.org/italy-summit

Aprile, è già picco di sbarchi. Il centre molle è la Tunisia
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/aprile-gi-picco-di-sbarchi-tornano-i-barchini-di-ferro