di Roberto Cascino 

Il 2023 è stato il secondo anno con il maggior numero di arrivi di migranti registrato in Italia, nonostante le vuote promesse di questo governo autoritario di estrema destra di blocchi navali e frontiere chiuse.

 

Le persone in movimento continuano ad arrivare in Italia (e a fuggirne quando possono), e non si fa nulla per regolarizzare il fenomeno o provare con strumenti diversi ad integrare maggiormente la nuova popolazione.
Tutta la situazione viene strumentalizzata solo a scopo di propaganda, come in occasione di qualche momento spot, oppure nascosta sotto il tappeto quando fa più comodo.

Tuttavia, oggi qui non vogliamo fare una facile ironia su uno dei temi pilastro dell’identità della destra italiana: già qualche mese fa avevamo prodotto un’analisi più lucida e diretta sull’argomento.

 

Oggi vogliamo ricapitolare le più importanti misure prese dal Governo nel 2023 in tema “immigrazione” e provare a capire quali saranno gli effetti più visibilmente fulminei.

 

Usiamo le virgolette intorno alla parole “immigrazione” perché, purtroppo, è anche questo il problema di uno schieramento politico che erge ogni tema a colonna portante della propria politica identitaria: la banalizzazione, completa e assoluta, delle questioni correlate a quell’argomento.

 

Partiamo con il recap

Ad aprile la nostra Premier ha fatto approvare il Decreto Cutro, presentandosi con tutti i Ministri più importanti del Governo in Calabria la scorsa primavera, come a dire: «Noi siamo qui per pattugliare le nostre sacre frontiere patrie! Sotto la nostra guardia, nessun indesiderato potrà varcare la soglia di questa grande Nazione». Questo me lo sono inventato io ma, secondo me, qualche social media manager del Governo ha pure spinto per un simile tipo di visione.

 

A settembre il Governo con un ulteriore Decreto modifica i mesi di permanenza in CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) portandoli a 18 mesi (dai 6 precedenti). Di fatto, condannando decine di migliaia di persone a vivere in galera senza che abbiano commesso alcun reato.

“Li costruiremo (i nuovi CPR ndr) in zone a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili. L’aumento dei tempi serve invece a fare tutto quanto è necessario non solo per fare gli accertamenti dovuti, ma anche per procedere col rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale”. Questo non me lo sono inventato io, è quanto ha dichiarato il nostro Presidente del Consiglio.

 

A novembre viene firmato con l’Albania un Protocollo d’Intesa per costruire nel Paese Balcanico due centri di detenzione e rimpatrio, con costi correlati esorbitanti e la probabilità di incidere realmente nella gestione dei flussi migratori che io di vincere il Triathlon alle Olimpiadi.

 

I CPR sono galere. Ma tipo letteralmente

Ovviamente il Governo non si è limitato ad estendere il periodo di permanenza nei CPR. Con una mossa di parkour degna di Michael Scott ha contemporaneamente triplicato il periodo di permanenza in questi centri e ridotto il budget a disposizione per gli Enti che gestiscono o vorranno partecipare al prossimo appalto per gestire quegli spazi.

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Membri del Governo nel corso di un qualsiasi Consiglio dei Ministri

 

Già dagli scorsi mesi, come conseguenza del taglio dei servizi (e quindi dei fondi) le prefetture incontrano grandi difficoltà a trovare enti per la gestione dei Cpr, dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e dei Cpa (Centri di prima accoglienza).

Cooperative e Associazioni del terzo settore che si occupano di rifugiati e diritti umani hanno smesso di partecipare alle gare perché i fondi a disposizione sono insufficienti per garantire servizi adeguati.

 

In compenso, ad ottenere gli appalti sono le grandi multinazionali della detenzione, proponendo importanti ribassi sui prezzi con il rischio di gravi violazioni dei diritti fondamentali dei trattenuti.

 

È su questo sistema che il Governo Meloni decide di puntare, avendo annunciato l’intenzione di raddoppiare il numero di Cpr, arrivando a uno per regione.

I Cpr sono luoghi chiusi, dove la società civile non ha accesso e dove anche per i giornalisti e le associazioni che si occupano di tutela dei diritti è estremamente difficile entrare. Quello che si sa è però che il tasso di suicidi, gli episodi di autolesionismo, l’abuso di psicofarmaci e sostanze e le rivolte si verificano con una frequenza allarmante, tanto che una parte importante dei costi di gestione riguardano la manutenzione straordinaria in seguito ai danneggiamenti causati dalle rivolte.

 

“Non vogliamo l’integrazione, vogliamo la ghettizzazione”

Questo sembra un altro messaggio che il Governo e la sua propaganda strillano a gran voce. E mi frustra tremendamente quando ne parlo con persone che mi stanno vicino, che magari la pensano come me e non si rendono conto del piano (per me evidente) di disgregazione sociale che viene perseguito dalla destra a partire da Salvini in poi.

 

Indossate anche voi il cappello di stagnola e datemi un po’ di credito: un altro dei provvedimenti intrapresi dal Governo lo scorso anno è stato quello di eliminare le risorse destinate alla formazione linguistica dei migranti, con il pretesto di contrastare l’immigrazione irregolare e di risparmiare sul bilancio pubblico.

Al di là dell’indignazione del settore e degli strilli della sinistra (che sono durati forse 2 secondi, prima di aver paura della sua stessa voce e tornare a nascondersi da qualche parte) a me questa sembra una precisa scelta di campo: continuare ad alimentare una politica di marginalizzazione sociale per impedire integrazione e raccogliere più voti al prossimo appuntamento elettorale.

 

Per cui in realtà incoraggi i migranti che vivono nei CPR o nei progetti di accoglienza svuotati di ogni tipo di interazione e integrazione con il nuovo mondo che li circonda ad intraprendere lavoro in nero, accattonaggio o direttamente carriere criminali. Foraggi l’illegalità per un tornaconto personale.

Racconti dalla terra

Un sottoprodotto di questa marginalizzazione produce, tra le altre cose, la perpetuazione di attività a basso valore aggiunto, cioè a bassa produttività, che non innovano e non hanno tra gli obiettivi l’intensificazione del capitale (anche umano), presupposto essenziale per l’aumento dei livelli di benessere.

 

Di conseguenza, si consegna nelle mani di sfruttatori e caporali decine di migliaia di persone disposte a lavorare come manodopera illegale a costi irrisori.

 

Questo abbruttimento generale non ci fa bene, come Paese, perché contribuisce a polarizzare gli animi su un tema tanto esteso e pervasivo nella nostra società.

 

Se siete stati così coraggiosi da arrivare fin qui per voi c’è un premio una cosa buona collegata a quanto avete appena letto: è su Spotify il magnifico podcast Racconti dalla terra realizzato da noi de Il Pulmino Verde in collaborazione con Border Radio per il progetto Racconti dalla Terra sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese. Correte ad ascoltarlo altrimenti vi rincorro con il cappellino di stagnola, mentre mi alleno per le prossime Olimpiadi.